Massimo e Walter, scuola di seduzione di Filippo Ceccarelli
Massimo e Walter, scuola di seduzione Massimo e Walter, scuola di seduzione La lezione del maestrino, le citazioni delVuomo-tv UE partiti, due mondi, due modi, due metodi, due tempi, due culture, perfino due videoscritture... Le sette pagine dell'intervento di D'Alema, perciò, sono un monoblocco computisticamente denso e compatto, con rari capoversi che nuotano nel gorgo vasto del foglio. Ballano invece, come sospese nel bianco, le frasi di Veltroni, piccoli blocchi di righe distanziate, effetto zebra, lievemente elettrico. Sul podio il direttore dell' Unità legge immobile, inespressivo, televisivamente cool (che grosso modo sta per «freddo»). D'Alema ci mette più enfasi e più cuore, a tratti declama, con sottile ricaduta pedagogica. Nessuno dei due, ieri mattina, alla Fiera, ha tentato camuffamenti e mimetismi, nemmeno sul piano formale, dello stile, dell'approccio rituale, del saluto. «Carissime compagne e compagni» ha esordito D'Alema. E Veltroni, invece, secco: «La sinistra deve vincere». Anche per questa evidente radicalità, è stato e resta un bel duello. E tuttavia appare altrettanto chiaro che la sintesi - non solo politica - è impossibile; che due candidati così diversi era difficile trovarli; che chissà come hanno fatto finora a stare nella stessa maggioranza, nello stesso gruppo dirigente, nello stesso partito. L'immagine, perciò, contro l'organizzazione. La comunicazione, quindi, contro la tradizione. I tempi del giornalismo, infine, contro quelli della politica. Il testo di Walter, già pronto, è stato distribuito alle 13; quello di Massimo alle 17 e, ingenuamente, purgato proprio nel punto che sul palco era suonato tra i più efficaci. «Quando va in televisione, la sinistra non deve dire "io", ma "noi". Perché quando si prendono otto milioni di voti aveva aggiunto D'Alema - questa sinistra fa più paura quando dice: "noi"». Brano saltato, nel testo, per candida, inutile preoccupazione mediatica. Su quel terreno arduo, in realtà, non c'era gara: Veltroni aveva già vinto. Il direttore dell' Unità, d'altra parte, s'è presentato con un calibratissimo dosaggio di segnali, annunci, effetti speciali che al di là del lessico sono finiti per risuonare in una dimensione tanto più emotiva quanto più inconsapevole. Ottimista per calcolo, tecnica e necessità, Veltroni ha imparato bene la lezione berlusconiana. Ha attaccato: «vittoria», 'vincere». E così ha proceduto, scientificamente, per messaggi semplificati, positivi, slogan pubblicitari («E così si scel- gono le idee giuste, i programmi giusti, le parole giuste»), immagini («non resterà che cenere»), evocazioni («il ritmo del respiro»), allitterazioni («scavalcare la destra a destra»), contrasti («parole dolci come musiche » e «dure come pietre»). Quasi senza farsene accorgere, ha piazzato lì un paio di titoli di romanzi («Tempo lungo», «L'onere della prova») e di film («Luna di fiele») commutandoli con le «autostrade informatiche». Con Hegel e il conte Ugolino ha strizzato l'occhio a quelli del liceo classico. Nell'arte della citazione mirata, ai confini della ruffianeria, ha dato un saggio mirabile richiamando - e davvero per tutti c'è una ragione e un destinatario Giugni, Camiti, Ruffolo, Napoleoni e Beppe Del Colle, editorialista di Famiglia cristiana. Con ì'Economist, Le Monde e il New York Times s'è capito che Walter tanza, ha intonato «una riflessione autocritica», e gli è scappata (forse) pure una «riscossa democratica». Più solido, appassionato e maestrino, senz'altro, di Veltroni. Negli aggettivi, nei verbi, perfino negli stilemi e nelle formulazioni discorsive - «C'è in me la profonda convinzione» questo figlio del pei è apparso l'erede di qualcosa che non c'è più, il custode di qualcosa che ha cercato di trasformarsi, ma fino a un certo punto. La sua protesta sulle consultazioni, piccolo grande capolavoro del partitoimmagine ai danni del partitopartito, ha fatto sentire D'Alema, il duro, il freddo, il terribile D'Alema, addirittura una vittima. Sensazione durata appena secondi. Con i tempi della comunicazione, però, un secondo può essere moltissimo. Achille Occhetto parso come la continuità. Più psicologica, veramente, che teorica e politica. Ma intanto ha nominato le «radici», la «bandiera», le «tradizioni», ha fatto un accenno ai «sacrifici» della mili¬ Filippo Ceccarelli
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