Il Parlamento dei fantasmi sotte l'ombra della Quercia di Filippo Ceccarelli

Il Parlamento dei fantasmi sotte l'ombra della Quercia Il Parlamento dei fantasmi sotte l'ombra della Quercia v:::::;:::;:;:;:^-:;:v::>::::::V:::::::::::;:::::::::;::: : :::::^:?x::::::v::::::::::::::::::::::::::::::::: IL BARNUM DI BOTTEGHE OSCURE PROMA OVERO Consiglio nazionale del pds, creatura infelice di questi anni di terremoto politico, sventurata assemblea di incertissima composizione, pseudo organo dirigente che nulla mai ha diretto e che adesso, all'improvviso, deve votare, scegliere, decidere il futuro... Povero consiglio: grande, grosso e gonfiatone. Poi, d'un tratto, rinsecchito. Quindi fatto a pezzi da Tangentopoli. Nato male, insomma, e cresciuto peggio, il mutilatino, del tutto trascurato, rarissimamente convocato. Sei o sette volte - non si sa bene - dal febbraio del 1991 a oggi. Le prime tre, però, nei primi quindici giorni del pds, quando c'era ancora l'entusiasmo. Poi nessuno più, a Botteghe Oscure, si ricorda bene quando, in che occasione e con quale odg si è riunito il parlamentino della Quercia. L'ultima volta - pare - nel luglio 1993. E dire che a quel punto aveva già conosciuto l'onta delle dimissioni del suo primo presidente, Stefano Rodotà. Come abbia fatto l'attuale, di presidente, Giglia Tedesco, a stabilire che i membri effettivi del consiglione sono 463, e che pertanto i voti necessari per eleggere il nuovo segretario sono 232, è un mistero pidiessino perfino ammirevole nella sua verità cabalistica. 463: non uno di più, non uno di meno, «assenti giustificati esclusi» come s'apprende in serata con criptica formulazione. E tuttavia se il punto cruciale, di fondo, incontestabile, è che la deflagrazione politica del pds ha proceduto di pan passo con quella organizzativa, è anche vero che oggi proprio lo sfascio di organismi già fantasmatici può condizionare ancora di più il risultato, l'elezione dell'uno o dell'altro candidato. Per cui, certo, saranno pure 463, i membri, ma a questo punto bisogna anche dire che ['Unità dei giorni del congresso di Rimini ne indicava compresa la Commissione di garanzia e i sindaca - 623. Mentre altre serie fonti bibliografiche pubblicazioni del Mulino, per dire - parlano di 547. Troppi, in ogni caso. Ma questo è un altro discorso. Qui forse vale la pena di notare quanto corre veloce il tempo, quanto sia lontano quello in cui nacque il pds, quanto quel consiglione in cui già da allora non avevano trovato posto Cacciari, Eoa, Giolitti, Cavazzuti, Pasquino, Cederna e Chiara Ingrao sia ormai un'altra cosa, irriconoscibile. Basta scorrere, d'altra par- te, i vecchi elenchi e spurgarli. Ne vengono fuori, per simbolica sottrazione, categorie attraverso le quali, malinconicamente, si può addirittura ricostruire la storia del pds in questi anni. Non ci sono più, infatti, i deceduti: compagni come Chiaromonte, Laura Conti, De Pasquale, Cacciapuoti, Tato. Così come non ci sono più - anche se in senso decisamente più metaforico - gli eterni fuoriusciti dell'ex pdup: Magri, la Castellina, Crucianelli, Manca, Pettinari, allora non ancora confluiti in Riforndazione. Quindi mancano «i sospesi» per via di Tangentopoli: Cervetti, ad esempio, Cappellini, De Piccoli, Impegno, Zorzoli. Infine - ed è la classe più varia e più sintomaticamente, politicamente centrifuga - «i disamorati», quelli che non hanno o non vogliono più la tessera del pds: da Ingrao a Piero Borghini, da Ardito a Corbani, da Flores D'Arcais a Guerzoni, e Rodotà, Scalpelli, Turane, Nicolini e chissà quanti altri meno noti, ma pure più delusi. Nessuno di loro, c'è da dire, è stato sostituito. Per le integra¬ zioni, lo statuto prevede un complesso meccanismo. Ma è provvisorio e comunque le inibisce in prossimità del congresso. Le regole, insomma, sono saltate e grande è la confusione sotto il cielo. Così grande - e oggi ancora più insidiosa - che nella giornata che precede la fatidica riunione la lista dei supposti, eventuali, presunti «aventi diritto» non esce proprio dal Bottegone. Non è ancora, guarda caso, definitiva. Ulteriori indiscrezioni pomeridiane allargavano la quota indicata dalla Tedesco fino a 480 membri con potere di scelta. Ma di nuovo la cifra sembra aperta a possibili scombussolamenti politici e numerologici, anche in extremis, magari con la collaborazione della commissione di garanzia e della sezione organizzazione del partito. Per farla breve: ancora oggi non si sa bene quanti siano - chi e perché e in base a cosa - quelli che oggi dovrebbero votare D'Alema o Veltroni. Il che, tenuto conto della storia furbastra e miseranda del Consiglione, è perfettamente logico e forse pure inevitabile. Perfino lo scenario e il clima in cui nacque, a pensarci bene, erano tragicomici: l'aula nuda del padiglione B della fiera di Rimini dopo una notte insonne e prima dell'arrivo di una mostra alimentare. Moquette verde-sporca, cartacce e lattine, delegati post-comunisti incappottati e inviperiti per i ritardi della commissione elettorale coordinata da un Petruccioli con gli oc¬ chi rossi. I più «furbi» (per la precisione 132 futuri membri) erano riusciti a squagliarsela. S'era fatta, ormai, l'ora di pranzo: D'Alema affamato, Veltroni terribilmente raffreddato, Occhetto di ottimo umore. Alla fine: «535 o 536, è impossibile dirlo con precisione - annunciava Petruccioli dal palco -. Attenti però che questo numero è frutto di un rigoroso contenimento di tutte le spin- te». Alla faccia del rigoroso contenimento. In sede di commissione, in realtà, al riparo da occhi indiscreti, ogni corrente aveva chiesto posti su posti, scatenando richieste a catena. Poi s'erano fatte sentire le donne (sulla base di un prefissato 34 per cento). Poi s'erano dovuti sistemare 52 «esterni». Dilatazione, dunque, garantita, da manuale. Alla fine il diavolo, si può dire, ci mise lo zampino dando l'illusione che si poteva fare di necessità virtù: un bel consiglione numeroso e perciò democratico, anzi più democratico, democraticissimo. Ale. Per una serie di ragioni che gli scienziati della politica hanno ampiamente dimostrato, in realtà, qualunque leader o grappo dirigente che voglia in pratica avere le mani libere senza fare la figura del dittatore è portato a creare organismi il più possibile numerosi, sovraccarichi, pletorici, e difficilmente convocabili. Rappresentativi e non decisivi, di ratifica e non di critica. Vedi «l'arca di Noè» del psi craxiano appunto ribattezzata «il coro muto della Butterfly». Bene, pure nel neonato pds passò quel modello di vistosa, ma vana democrazia. Nel pds non c'erano, è vero, i nani e le ballerine dell'assemblea monstre del psi. A voler essere maligni, il consiglione del pds si segnalava semmai pei- una certa vocazione familistica, nel senso che nel mezzo migliaio di componenti abbondavano mogli, mariti, padri, figli, cognati, fratelli e persino gemelli. Come da proverbio (però): parenti serpenti. Alla prima occasione, a Rimini, bocciarono il leader. E Occhetto, stravolto, al bar, con un bicchierone di whisky, non lo dimenticò mai. Filippo Ceccarelli Il numero dei votanti è un mistero Ma a Rimini il «consiglione» bocciò Occhetto L'ex leader del pds Achille Occhetto

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