Murolo l'estate del patriarca

Due grandi vecchi ancora protagonisti. A 82 anni, si può anche incidere un nuovo disco Due grandi vecchi ancora protagonisti. A 82 anni, si può anche incidere un nuovo disco Murolo: l'estate del patriarca «Sono felice e semplice. L'artista è fortunato» NAPOLI DAL NOSTRO INVIATO Appena Muralo comincia a parlare - parlare, non cantare - la sua voce comunica un incanto. Una «m», una «n» ha risonanze misteriose nel suo naso e nella sua gola. Le «t» e le «p» esplodono leggere, rotonde. Le vocali hanno una durata corposa e variata. Ogni parola è insomma una collana di suoni inediti. Quella di Muralo è una lingua antica eppure nuova, sconosciuta ai cantanti e agli attori di oggi, le cui parole di solito rotolano monotone, talvolta incomprensibili. Quanti ancora studiano seriamente dizione? Roberto Muralo non si rende conto del fascino che suscita. Lui parla, semplicemente parla, o canterella battendo il tempo sul bracciolo della poltrona nel salotto di casa - la poltrona dove sedevano Di Giacomo e Bovio, Russo e Tagliaferri - ed è spettacolo. «La sua voce è come l'oro: non si altera», ha detto Renzo Arbore. «Piccolo Schubert napoletano», lo ha definito il critico Paolo Isotta. «Ha portato la canzone napoletana dalla strada alla camera», ha scritto Domenico Rea. Come un grande attore non ha bisogno di alterare il viso per comunicare un sentimento, così Muralo non altera mai la voce. Dice: «Sono felice e semplice. L'artista è un fortunato. Gode di tutto quello che fa». E' molto festeggiato in questi giorni: «A 82 anni e mezzo il mio nuovo disco, "Anema e core", piace. Ne verranno altri, per un totale di trecento nuove incisioni». «Ringrazio mio padre», esclama. Quanti ricordi sul padre, il poeta Ernesto: «Recitava poesie alla regina Margherita, a tre anni mi metteva in piedi sul tavolo di cucina perché intonassi "Se quel guerriero io fossi" dall'Aida, mi portava a spasso in carrozzella» Insegnava in un teatro: «L'accompagnavo quando c'erano le prove. Avrò avuto 12 anni. Mio padre faceva un gesto agli attori: "Piano, piano", raccomandava. E a me diceva: "Parla adagio e con la massima precisio- ne". L'ho tenuto a mente. "Che bella cosa 'na iurnata 'e sole / 'n'aria serena doppo 'na tempesta": ognuno capisce. "La canzone napoletana a volte è più bella per il testo", diceva papà. I tenori badano alla potenza. Io sono un baritono, come tonalità. Sono un dicitore, uno chansonnier. Non grido». Murolo prende una chitarra, pizzica delicatamente le corde, canta «Malafemmena»: «Suonare la chitarra e cantare per gli altri: è quel che mi piace di più... 'Sta leggerezza... Papà m'ha mandato a scuola non da un maestro di chitarra classica, ma da un anziano maestro esperto di accompagnamento per le esibizioni dei posteggiatori. Si chiamava Ernesto Quagliuolo: mi passò tecnica e accordi. Suono sempre quelli da più di sessantanni... Io sono il più anziano di tutti. Dicono che ho ridato vita alla canzone napoletana: ho studiato pure la sua storia. Una faticata terribile. Mi incontravo con Roberto De Simone, andavo in una strada napoletana che si chiama San Biagio dei Librai: chiedevo, imparavo, cantavo». Sono i tempi di «Napoletana», l'antologia in dodici long-playing del '56. «Mi chiedono ancora il "Canto delle lavandaie del Vomero", che è del Duecento, e "Michelemma", che è del Seicento. M'immedesimo quando canto, è logico. Il segreto è far ridere o far piangere. "Ciento grammi 'e voce, 'nu chilo 'e core". Ma piano, con semplicità. Ora sono forse migliorato perché ho avuto la fortuna di togliermi il vizio del fumo. Tre anni fa mi hanno messo cinque aghi piccolissimi nell'orecchio sinistro, tre nell'orecchio destro, uno sul naso qui e uno sul naso qui. Non ho fumato più. Da giovane invece,..». Un periodo fantastico, là gioventù: «Partii da Napoli nel '38 con il quartetto Mida e girammo l'Europa per otto anni. Cantavamo come gli americani Mills Brothers e imitavamo gli strumenti. Io facevo il trombone». Murolo accosta le mani alla bocca e «suona» «Moonlight serenade». «Un altro faceva l'accompagnamento del contrabbasso: Pom, pom, pom. C'era la guerra, vedevo bombardamenti terribili, cadaveri sui balconi. Un giorno del '42 prendiamo uno di quegli aerei che si scassavano pure in volo e arriviamo a Colonia. Chiediamo del teatro Apollo. "Kaputt", dice il tassista. La piazza era distrutta. Al posto del teatro c'era uno sgabuzzino di legno bianco. "Siete il Mida Quartet? - ci domanda una donna grassa. - Tenete". Erano i soldi per la serata che non potevamo più tenere. Alla fine presi un vapore a Barcellona e tornai a Napoli. La notte sul bastimento cantai da solo "Nun me scetà" e "Piscatore do mare 'e Pusilleco", le canzoni di mio papà morto». Fu la svolta. «Tutta Napoli nel '46 cantava americano». Murolo batte il ritmo sul bracciolo della poltrona: «Leave that pistol down! "Metti giù la pistola", si cantava. Mi invitarono a Capri e al Tragara Club cominciai le canzoni napoletane per gli ufficiali americani. Bevevano whisky con la bottiglia sul tavolo: mi facevano impressione. Applaudivano, e io continuai». A Capri vedeva Totò: «Che uomo! Facevamo il bagno ai Faraglio ni. Si scendeva giù attraverso strade difficilette. Lui portava un cappello bianco e largo largo, comicissimo, e un cane, con il quale parlava proprio: "Non ti porto più! Non ti porto più!", gli diceva in continuazione. Andammo in barca e a un tratto mi guardò accigliato: sapeva che ero stato un campione del tuffo da dieci metri. Si batté i pugni sul petto e disse: "Io so' cchiù forte 'e te!". Che cretinata! Ma mi fa sempre ridere». Nella sua vita «sono stati più numerosi i momenti felici di quelli tristi». Quell'episodio di tanti anni fa, quell'accusa di atti immorali nei confronti di un ragazzino, il carcere «Incontrai l'amarezza, la cattiveria umana Non ne vorrei proprio parlare» Murolo pensa all'oggi e al domani Fa circa 150 serate l'anno. Incontra amici e amiche «divertenti», l'aggettivo che ripete più spesso. Guarda la tv: «Mi piacciono Ambra e le ragazzine di Non è la Rai. Ambra è intelligente, bravissima». L'appartamento al Vomero è grande: «A questa tavola eravamo seduti in tanti. Penso alla famiglia che eravamo: papà, mamma e noi sette fratelli e sorelle. La malinconia me la tengo nascosta». Prega: «Di giorno e di notte, con parole mie. Non dico: "Benedetto è il frutto del ventre tuo, o del seno tuo, Gesù". Ma: "Il frutto del corpo tuo". Non mi piace proprio pensa re al seno della Madonna». In camera da letto ci sono file di coppe e di statuine: i premi di una vita. Il tavolo di un salottino è ricoperto di confetti: bomboniere-ricordo di nozze e di prime comunioni. «Sono rimasto l'unico a casa». Murolo solleva una delle sue dodici chitar re. si siede, canta «Voce 'e notte». Claudio Altarocca Le avventure in giro per l'Europa, a Capri con Totò «Se ci ripenso, rido ancora» Nella foto grande, Roberto Murolo al pianoforte. Qui sopra, il cantante in una vecchia immagine insieme con un'amica. Murolo ha pubblicato l'album «Anema e core»: «Sono un dicitore, uno chansonnier dice. - Non grido. Il segreto è far ridere o far piangere: dento grammi 'e voce, 'nu chilo 'e core. Ma piano, con semplicità»