Fini «Se fossero autentici cambierebbe di molto il giudizio sull'uomo»
Molti dubbi sui «diari» del Duce Molti dubbi sui «diari» del Duce Fini: «Se fossero autentici cambierebbe di molto il giudizio sull'uomo» ENTRE a Londra i proprietari dei presunti scritti di Mussolini precisano condizioni e attese del ritrovamento, in Italia si moltiplicano i commenti, tra i quali quelli dei familiari del Duce e del segretario di An Gianfranco Fini, il quale dice: «Io non ho alcuna possibilità per giudicare. Gli storici accertino la veridicità e soltanto dopo un unanime o quasi unanime parere si potrà discutere del contenuto. Ma farlo in assenza di elementi di questo genere mi sembra superfluo. Sono in molti a dire che qualora siano autentici il giudizio sull'uomo è diverso rispetto a quello dato tradizionalmente sino a oggi». Quanto all'autenticità è cauto anche il proprietario degli scritti. Ci dice sir Anthony Havelock-Allan: «Soltanto gli esperti possono decidere; oppure una cameriera, che ricordi Mussolini mentre li scriveva». Sir Anthony è, con la moglie Sara, il deus ex machina dell'operazione che ha riproposto i diari del Duce; ma conferma di non essere interessato né alla loro vendita né alla pubblicazione a puntate su qualche giornale. «L'importante - dice - è avere la certezza dell'autenticità». Interviene la moglie: «Mi ha già telefonato un avvocato italiano che voleva comperarli; ma gli ho detto che non sono in vendita. L'ideale sarebbe che uno storico serio affrontasse lo sforzo di scrivere un libro su tuei diari». Intanto in Italia interviene Romano Mussolini: «Nessuno ci ha ancora mostrato quelle carte, ma da quello che ho letto sui giornali mi sembra si tratti di un riciclaggio di quei presunti diari che già qualche anno fa furono dichiarati apocrifi. Mi pare improbabile che mio padre potesse usare espressioni infantili come "caro diario"». Romano Mussolini ricorda poi che lui, Vittorio e la madre Rachele erano con Mussolini a Salò nell'ultimo periodo della vita politica del Duce: «Su quello che mio padre scrisse in quel periodo io e miei famigliari saremmo in grado di dire una parola definitiva». E la figlia di Romano, la parlamentare Alessandra Mussolini: «La fami¬ glia è in possesso di dati indispensabili e univoci, precisi e puntuali per riconoscere l'autenticità di alcune delle agende riempite di appunti in quegli anni». E' sicuro della falsità Silvio Bertoldi, autore di saggi sul fascismo. Alla fine degli Anni 60 si recò a Londra per esaminare presunti documenti autografi di Mussolini venuti in possesso del Sunday Times: «Siamo di fronte alle stesse carte false di 25 anni fa, che periodicamente riemergono. L'operazione veime messa in piedi da due truffatori inglesi, che, evidentemente, in tempi più recenti ci hanno riprovato». Più possibilista Antonio Spinosa: «Dal punto di vista dell'autenticità i diari potrebbero anche essere una balla, ma il contenuto degli appunti di Mussolini è verosimile». Emilio Gentile, storico del fascismo, non vuole entrare nella querelle: «Mi sembra poco serio esprimere pareri sulla base di qualche frase smozzicata: i diari sono sempre una questione molto delicata perché si possono facilmente falsificare. La cosa più seria sarebbe sottoporli ai famigliari». Esclude l'autenticità lo storico Franco Bandini, che due mesi fa venne contattato da un giornalista del Sunday Telegraph per ottenere riscontri documentari. Anche lui ritiene che si tratti degli stessi falsi diari che circolano dal '57. «I nuovi diari? Non sono sicuramente i miei. Innanzitutto perché quelli non erano diari, bensì brogliacci, e poi perché sono stati distrutti per ordine del tribunale di Vercelli al termine del processo». Amalia Panvini Rosati, 80 anni, insegnante in pensione, non ama parlare della vicenda che coinvolse lei e la madre, accusate di falso e truffa per aver venduto cinque cosiddetti «diari» del Duce: «Erano stati consegnati nel '44 dall'allora ministro dell'Interno Paolo Zerbino a mio padre Giulio Panvini Rosati, vicequestore di Vercelli. Contenevano appunti scritti con una grafia fittissima. Mio padre li aveva messi in un armadio e ce ne eravamo dimenticate. Dopo la sua morte, abbiamo riaperto l'armadio, li abbiamo recuperati: naturalmente erano autentici», [r. ci
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