«A.A.A.vendesi il Bottegone è un affare» di Filippo Ceccarelli

E I «AJUL Vendesi il Bottegone, è un affare» Lo volle Togliatti nel '45, vi abitò qualche mese con la lotti IL CREMLINO ITALIANO E ROMA poi non è nemmeno bello. I Soprattutto adesso che è estate, e forse pervia dell'intonaco troppo rossiccio rispetto all'azzurro del cielo, forse per quelle quattro colonne sempre più spropositate e ancora di più per i debiti, il Bottegone trasmette una sua assolata, inquieta polverosità. Non dovrebbe, onestamente, influire sul prezzo, però soprattutto la domenica mattina il palazzo quasi non si vede - e magari non si vende - più. L'occhio curioso del passante se lo conquista ormai la folla di polacchi, migliaia, profughi dell'ex socialismo reale, davanti alla Chiesa di San Stanislao. S'incontrano, bevono, ruttano, commerciano, discutono, pregano, si salutano, insomma lì vivono. Se ne vanno all'ora di pranzo lasciando per terra, appoggiata ai muri, una fila lunghissima di bottiglie di birra vuote che dall'Argentina s'interrompe alla via, appunto, dei Polacchi. Con questi stranieri il barista Vezio, che lì dietro, a via dei Delfini, gestisce un esercizio pieno di foto e ricordi di partito, ha già avuto un qualche contenzioso simbolico-iconografico: «Perché tu tenere Lenino? - gli ha chiesto un giovanottone mica troppo dialettico -. Comunisti cattivo!». Ai polacchi domenicali, certo, nuovi abitanti delle Botteghe Oscure, non gliene importa niente se il pds vende o no il palazzo. Se lo affitta a un grande magazzino o se, come ha proposto e riproposto con indubbio sadismo Napoleone Colajanni, ne fa un parcheggio. 0 un museo, un mausoleo, un torneo, un marameo a quell'architettura che Michele Serra trova metafisica e dechirichiana. Il punto è che anche per i dirigenti della Quercia, provvisori padroni di casa, sembra che sia finito il momento dei sentimentalismi. Giusto un anno fa, per dire, certe realistiche mezze ammissioni del responsabile patrimonial-immobiliare del pds Marco Fredda furono interpretale come una specie di via libera alla «dismissione». Bene, ci furono telefonate accorate dalla base, smentite furibonde al vertice, «vivo stupore e incredulità». Al grido «questo palazzo non è un semplice immobile, ma un pezzo di storia di questo Paese» Sergio Garavini, a nome di Rifondazione, s'offrì addirittura si comprarlo lui, il Bottegone (e chiese perfino uno sconto). «Dichiarazioni stravaganti e strumentali» gli risposero sdegnati: «Ci auguriamo che lo stesso zelo dimostrato per l'immobile sia profuso nella dife¬ sa dell'onorabilità politica del pei». Ma ora? Ora niente. D'Alema dice: vendiamo. Veltroni è difficile che dica: no. Quella che con gergalità inconsapevolmente evocativa si chiama (anche) «alienazione» è diventata una necessità forse persino simbolica. Per cui, almeno per una volta, conviene a tutti di evitare toni lacrimosi. Il Bottegone, dunque, sono in realtà tre palazzi, 4880 metri quadrati in pieno centro. Il blocco centrale, storico, è stato valutato sui 73 miliardi; le due ali di via dell'Aracoeli e di via dei Polacchi - acquisite in omaggio al gigantismo efficientistico e globalista degli Anni Settanta stanno sui 43. Il palazzo, si può aggiungere, è oggi vivo e redditizio soprattutto in cima e al piano terra. Nel senso che, oltre ai ripetito- ri di Italiaradio, il terrazzo pidiessino ospita a pagamento un'antennona parabolica della Sip che permette il funzionamento dei telefonini nel centro storico - sia pure con le gravi proteste dei frati zoccolanti dell'Aracoeli che così non riescono più a vede- re il cupolone. Al piano terra c'è invece l'ottima libreria «Rinascita». Negli Anni Cinquanta fu assalita dai fascisti delle «Guardie del Labaro». Negli Anni Sessanta (e oltre) fu diretta da un pregevole intellettuale come Fidia Gambetti, che da questa sua esperienza ha anche tratto due bei libri. Ora ci si può trovare Carmen Llera, che sperimenta uria sua personale forma di salario d'ingresso come commessa auto-sperimontale. Sulla scia di «Rinascita», sulla destra, mi altro modem shop di dischi e ed. Per il resto, il palazzo è quello di sempre, anche se dà meno di un tempo l'idea di forza («Provate a spiantare gli usci del Comitato Centrale» sfidava Pasolini). L'ultima novità, nell'atrio, sono le sculture massonico-gauchiste realizzate nel 1978 da Pomodoro, con teca che racchiude una bandiera-reperto della Comune di Parigi. Ridimensionati allora anche gli spazi per la Vigilanza. Chissà se è andato in pensione il guardaportone che nel 1976 accolse con un ceffone Pannella recante fiori. Non c'è più il compa- gno Reclus Eliseo che nei primissimi Anni Sessanta vinse 54 milioni alla Sisal, continuando ad accompagnare Togliatti. Fu il Migliore a volere il Bottegone nel 1945. Due anni dopo ci andò a vivere, per qualche mese, con la lotti. Rustico acquistato per 30 milioni - di sospetta provenienza dall'«oro» di Dongo dalla Società di Riassicurazione. Lavori a cura del geometra rosso Fausto Marzi Marchesi con l'aiuto dei palazzinari Alfio ed Alvaro Marchini. Modello da cittadella assediata: tipografia, infermeria, spaccio e ufficio postale. Spionaggio vano, ma garantito fin dall'inizio dal palazzo di fronte, che ospitava la Confindustria. Ex piccolo Cremlino all'italiana Vendesi, interni un po' tetri e balcone trionfale da qualche anno desolantemente vuoto. Filippo Ceccarelli

Luoghi citati: Argentina, Dongo, Roma