Ma anche la Thatcher dovette arrendersi di Aldo Rizzo
r Ma anche la Thatcher dovette arrendersi r OSSERVATORIO ORFU', «the day after». E' crisi, come dice risolutamente Mitterrand? Oppure, come afferma Major, sarà crisi solo se gli altri lo vorranno? Certo che è crisi. Come definire altrimenti le conseguenze di uno strappo vistoso della Gran Bretagna, su un tema come la scelta del presidente della Commissione, la più alta carica dell'Unione europea? Ma c'è qualcosa di vero anche nell'affermazione di Major. Gli «altri» possono decidere, da qui al 15 luglio, data del vertice straordinario, se andare allo scontro con Londra, nel senso di tentare di forzarne la volontà, con la prospettiva dell'isolamento, o se cercare un compromesso. Per ora la situazione evolve nella prima direzione. Dehaene, il candidato bloccato da Major quando disponeva ormai di undici voti su dodici, ha ribadito ieri l'intenzione di restare in corsa. Un'intenzione confortata da dichiarazioni e impegni di Mitterrand, Kohl, Gonzàlez, persino di Papandreu, padrone di casa a Corfù, che non è esattamente un campione del federalismo europeo. Ma non facciamoci illusioni: Major si è posto nella condizione di non poter accettare Dehaene se non dimettendosi da Downing Street subito dopo. Ma, proprio per non doversi dimettere, sotto la spinta dei conservatori antieuropei, che praticamente lo tengono in ostaggio, egli ha detto no al Primo ministro belga. E' quella specie di gioco a somma zero in cui gli inglesi spesso si cacciano. A volte hanno ragione, a volte no. Comunque, a volte vincono e a volte no. Si può dunque fare l'ipotesi di un compromesso, cioè di qualcosa, o meglio di qualcuno, che non sia Dehaene, ma neppure il suo contrario. Un'ipotesi per fare uscire Major (che è un leader debole, ma non un antieuropeista in senso vero) dal vicolo cieco. I nomi sono vari: l'irlandese Sutherland, l'altro belga Davignon... Oppure («perché no?», ha detto Berlusconi a Corfù) un italiano. Sarebbe bello. I due personaggi subito evocati, Giuliano Amato e Renato Ruggiero, avrebbero tutti i titoli, anche come prestigio internazionale. Fra l'altro, avremmo la possibilità di UHI, I tern 1 avre cancellare il ricordo di quell'unica volta che avemmo un presidente della Commissione, l'onesto e compianto Malfatti, il quale non seppe resistere poco dopo al richiamo della politica interna italiana e abbandonò Bruxelles. Altri tempi, certo. E comunque, tornando ad oggi, Ruggiero è già in «pole position» per un'altra importantissima carica internazionale (la direzione della «World Trade Organization», che va a sostituire, con maggiori compiti, il famoso «Gatt»). Ma non è problema di nomi, italiani o meno. Il problema è se, magari anche per «punire» un certo decisionismo franco-tedesco, si possa «premiare» il ricorso al veto, sia pure di un Paese come la Gran Bretagna. La seconda ipotesi costituirebbe, allo stato della costruzione europea, un precedente gravissimo, politicamente. E così si ritorna allo «scenario» dello scontro, o almeno del confronto duro. E' possibile che ciò porti per qualche tempo a un'«impasse», ma l'importante è che se ne esca costruttivamente, cioè con una prospettiva nuova e più ampia. Può accadere in due modi. Primo, sacrificando le residue fortune politiche di Major: all'isolamento totale nella Comunità europea non resistette neppure la Thatcher, che ne fu anzi travolta, lei che aveva vinto la guerra delle Falkland; ora poi c'è un'alternativa laborista assai promettente dal punto di vista europeo. Secondo, prendendo atto definitivamente che tutti insieme, contemporaneamente e appassionatamente, tanto più dopo 1'«allargamento» da dodici a sedici e domani a diciotto o venti, non possiamo procedere verso lo stesso traguardo. S'impongono ormai ritmi e modi differenziati, a seconda dei gusti e delle capacità. Non è facile, ma è necessario. Aldo Rizzo tzo^j
Luoghi citati: Bruxelles, Corfù, Falkland, Gran Bretagna, Londra
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