Idossettiani sfidano il grande seduttore

Il presidente del Senato allo Spiegel: «Non ci lasciano governare». Poi precisa: intervista forzata Idossettiani sfidano il grande seduttore r IL PALAZZO più di quarantanni di distanza, il tempo di una vita trascorsa quasi da eremita, sembra un abbaglio da morbosi collezionisti, una poetica follia, uno scherzo sottile della Storia. Ma se con questo monaco dalla tunica color ocra, malandato, lucido e apocalitticamente anti-berlusconiano, se insieme a don Dossetti che grida al prossimo colpo di Stato del «grande seduttore», fossero tornati anche i dossettiani? «Condivido il suo allarme - sostiene il professor Ardigò - tant'è vero che ho aderito a uno dei Comitati per la difesa della Costituzione». «Ha ragione Dossetti - conferma Giovanni Galloni - quando dice che l'attuale situazione politica presenta rischi per la democrazia». Dossetti, perciò. Rarissima foto in bianco e nero, alla Costituente: un professorino - appunto - con la cravatta del tutto fuori posto che sorride pallido e malinconico, due dentoni da caricatura. Poi un'altra foto metà Anni Cinquanta, sdraiato per terra, in una chiesa, radioso, sta per essere ordinato sacerdote. «Devo scomparire», aveva comunicato nel 1951 ai suoi seguaci - c'erano sia Galloni che Ardigò - riuniti al castello appenninico di Rossena per quell'addio prima ancora esistenziale che politico. Ebbene è ricomparso, Dossetti, dai libri di storia, dalla quiete dei monasteri, dalle tenebre luminose del mistico e dell'escatologico per esprimere, a 81 anni, il più assoluto, terribile e globalmente primordiale rifiuto dell'Italia di oggi e del potere berlusconiano in particolare. Un no tinto di memorie personali: «la trappola» dei cattolici risucchiati dal fascismo, poiché «70 anni fa ricorda Dossetti (e documenta in maniera impressionante Giovanni Grasso nel suo I cattolici e l'Aventino, edito da Studium) - tutto è cominciato allo stesso modo». Una ripulsa totale che si nutre delle suggestioni bibliche del profeta Isaia sulle Nazioni Pagane: «Mi gridano da Seir: Sentinella, quanto resta della notte?». La notte dei valori rinnegati, il buio oltraggioso di un «Principato con coreografia medicea, che attraverso la manipolazione mediatica dell'opinione, può evolvere verso una Signoria politica». Nei riguardi della quale «non c'è possibilità per le coscienze cristiane di nessuna trattativa, almeno sino a quando - ma chissà quando secondo i moduli dell'evocativo, straniante dossettismo di ritorno - non siano date positive, evidenti e durevoli prove in contrario». E non solo si resta interdetti di fronte a tanta catastrofica intransigenza, ma ancora di più viene da chiedersi, dopo quasi mezzo secolo, se abbia un senso l'opposizione al «nuovo» da parte del capostipite della sinistra sociale, rivale di De Gasperi, nemico giurato del liberismo, maestro e ispiratore di santi (La Pira), martiri (Moro), uomini di Stato energici (Fanfani) o deboli (Rumor). Resta il dubbio su quale valore assegnare all'ispirata, gratuita denuncia dell'Antenato, protagonista di un'Italia ormai irriconoscibile, senza plastica e senza riforma agraria, pre-centrosinistra e pre-consumismo, un'Italia abbandonata in piena guerra fredda, e quando ancora non c'erano né la tv né l'autostrada del Sole. Per cui alla fine si sbanda, tra sogno e verità, di fronte a questo vetero-neo-tardoex-post dossettismo che torna in extremis da una realtà immota, senza tempo, per denunciare che c'è un peggio. La de, forse, che sopravvive a se stessa. E insieme il senso di una storia politica che finisce davvero. Filippo Ceccarelli Bili |

Luoghi citati: Italia