II treno accelerato del Continente Unito
Non passa Dehaene, nuovo vertice a luglio. Berlusconi: candidare un italiano, perché no? ANALISI II treno accelerato del Continente Unito CORFU' ELL'ISOLA bellissima e linda (che non fu mai sottoposta al dominio ottomano ed è il lembo più «occidentale» della Grecia) sarebbe dovuta cominciare una nuova fase della costruzione europea: quella della riflessione sul dopo-Maastricht e della successione di un presidente «storico» della Commissione come Jacques Delors. Due dati interconnessi: infatti va bene superare le carenze di Maastricht, ma dipende da quale punto di vista ci si mette, se quello di salvare una prospettiva più o meno federale, o quello di arretrare verso una confederazione a maglie larghe, sostanzialmente una grande area di libero scambio; e questo è a sua volta in relazione con la figura di chi per cinque anni guiderà l'esecutivo di Bruxelles. Il premier belga Jean-Luc Dehaene, convinto federalista, ma anche politico realista, sembrava la figura giusta, e perciò era stato proposto da Francia e Germania alla successione di Delors. Ma non ha superato il veto dell'inglese Major, ufficialmente motivato con una questione di principio (l'insufficiente consultazione degli altri partner dall'asse franco-tedesco), di fatto determinato dall'ennesimo rifiuto britannico di una prospettiva federale. Al no di Major, condizionato dagli «euroscettici» del partito conservatore, si è aggiunta la delusione dell'Olanda, che aveva anch'essa un suo candidato. E così tutto è da rifare, appuntamento al 15 luglio. E l'Italia? L'Italia era al suo vero esordio europeo ed è difficile dire esattamente quale sia stata la sua posizione. Dapprima ha dato l'impressione di preferire l'olandese Lubbers, perché più vicino a una sua «filosofia», di unità europea, ma senza vincoli dirigisti; poi, date le diffuse resistenze a una tale candidatura, che hanno portato Lubbers al ritiro, si è detta disponibile a votare Dehaene. Ma era troppo tardi a causa del veto inglese, e alla fine Berlusconi (che aveva avuto anche lui riserve di metodo sulla «designazione» franco-tedesca) ha minimizzato il fiasco di Corfù, anzi ripromettendosi risultati migliori da una gali ra che ora riparte, per così di1 re, alla pari. Può anche aver ragione. Pur se sarà difficile, per non dire impossibile, un candida to comune altrettanto intensamente europeista di Dehaene. E resta una certa vaghezza di questa nuova «filosofia» europea del governo di Roma, tra l'entusiasmo per l'unità nella politica estera e della sicurezza e un qualche scetticismo sull'unificazione economico-monetaria (peraltro più accentuato nel ministro Martino che nello stesso Berlusconi). A parte questo, il vertice ha avuto anche i suoi successi, come l'importante accordo di cooperazione economica e politica cun la Russia, filmato da Elisili, e i trattati di ade sione dei quattro nuovi membri, solennemente sottoscritti anch'essi. Ma si tratta di successi, specie il secondo, che pongono a loro volta dei problemi. Pongono anzi il solito problema: che tipo di Europa sarà quella che passa da 12 a 16 membri, e forse a 18 o 20 entro il Duemila? Un'Europa commerciale, con una qualche dose di cooperazione politica, non certo sufficiente per farne un polo planetario? Oppure un'Europa concretamente avviata verso una decisiva integrazione economica e politica? Le difficoltà decisionali, inevitabilmente maggiori, anche se si sta studiando una riforma per il 1996, diluiranno la possibilità di efficaci interventi comuni. Sarà necessario, in conseguenza, dare corpo alla vecchia idea dei cerchi concentrici e delle due velocità? E chi starà da una parte e chi dall'altra? Questo problema sarà, non potrà non essere, sullo sfondo del prossimo conclave del 15 luglio. A questo stesso problema non potrà sottrarsi, prima o poi, la politica europea del nuovo governo italiano, quali che siano oggi le sue intenzioni, «innovatrici nella conti¬ nuità». Aido Rizzo
Persone citate: Aido, Berlusconi, Dehaene, Delors, Jacques Delors, Lubbers
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