Evola il profeta maledetto non è più

 Evola, il profeta maledetto non è più tabù Evola, il profeta maledetto non è più tabù Sgarbi provoca («Idealista contro i mercanti, come Bossi»), poi fa una gaffe sulla «ebreitudine» del giudice Colombo molte ore ha polarizzato il chiacchiericcio di corridoio che in questo, come in mille altri convegni, ha palesato gli umori e i nervi scoperti della platea. L'happening sgarbiano non ha però oscurato il senso di questa tre giorni organizzata dalla «Fondazione Julius Evola» che, ironia della sorte, ha concentrato studiosi e discepoli di Evola in una piazza distante appena due isolati da quell'appartamento di corso Vittorio Emanuele in cui frotte di giovani adoranti si recavano in pellegrinaggio dal Maestro che distillava in presenza dei «figli del Sole» i rudimenti della disciplina tantrica e i motivi di fondo della «rivolta contro il mondo moderno», l'avversione scompaginare i ruoli», come il portabandiera di uno stile che Sgarbi ha intenzione di conservare identico sia come critico d'arte, sia come showman televisivo, sia come presidente della paludatissima commissione Cultura della Camera dei Deputati. Evoliani turbati, divertiti. E da ultimo anche un po' titillati nella dimensione più maledetta, traumatizzante, tabuizzata dell'evolismo: quella dell'antisemitismo, quella richiamata dal «nemico» Franco Ferraresi e che Sgarbi ha ripreso nel pieno del convegno-celebrazione evocando l'«ebreitudine» del giudice Colombo, membro influente e «mente» del pool Mani Pulite di cui Di Pietro sarebbe, parole di Sgarbi, il «ta¬ glialegna», il braccio poderoso, mentre i giochi veri si sarebbero fatti nei luoghi impenetrabili della «razza eletta». Una «battuta, per carità», mette le mani avanti Sgarbi. Una battuta in un dotto discorso di quasi un'ora in cui Sgarbi ha messo in relazione l'Evola artista dadaista con Marcel Duchamp, il surrealismo, Salvador Dali e Andy Warhol. Una battuta, testualmente confessa un po' pentito Sgarbi qualche ora dopo dal suo telefono cellulare, che «non avrei pronunciato se mi fossi reso conto che la sala era piena di fascistoni». Eppure una battuta così, di gusto più che dubbio, ha rischiato di conferire un connotato diverso alla manifestazione evoliana e per Il barone Julius Evola per la democrazia «materialistica», dominata dall'ossessione del denaro e incapace di ascoltare la voce della Tradizione e i sogni di un Nuovo Ordine dai caratteri molto simili a quolli vagheggiati dai fascisti di Ordine Nuovo. Il senso della manifestazione è stato riassunto da Gianfranco De Turris, studioso di Evola, curatore della collana delle Edizioni Mediterranee dove compaiono le opere di Evola, nell'immagine del «filo spinato» che si sarebbe disintegrato nei confronti della cultura di destra e dunque anche del nome-tabù che la cultura democratica ha confinato nell'alveo dei personaggi infrequentabili («un nome così sporco che ripugna toc¬