Il processo agli ultra finisce in rissa

Catania, dopo la condanna i parenti degli imputati insultano i magistrati e i familiari della vittima Catania, dopo la condanna i parenti degli imputati insultano i magistrati e i familiari della vittima Il processo agli ultra finisce in rissa Il giovane si lanciò dal treno per sfuggire all'aggressione «Era pazzo, doveva starsene a casa quel giorno: ci ha rovinati» Arrestate a Praga In trappolo le assassine di Hana ANAPOLI RRIVANO a gruppi di dieci, a bordo delle auto e dei cellulari della polizia con i lampeggiatori accesi che si formano nel cortile della pretura con un grande stridore di freni. Escono dalle macchine con i polsi stretti nelle manette, e si avviano a capo chino verso le celle di sicurezza. Fuori, nella calura di mezzogiorno, un cordone di soldati e carabinieri tiene a bada un centinaio di donne infuriate, che gridano, imprecano, inveiscono contro la questura e applaudono ai carcerati. Comincia così, nel caos totale, il day after dell'operazione «monnezza», la grande retata che l'altro ieri si è conclusa con l'arresto di 160 netturbini assenteisti. Dovrebbe essere il giorno del redde rationem per gli imputati che hanno passato la notte in guardina. Ma così non ò, perché lo sciopero degli avvocati di Napoli impedisce lo svolgimento dei processi per direttissima. Alla fine, gli otto pretori incaricati di esaminare i casi si limiteranno a tenere le udienze di convalida, durante le quali decideranno se scagionare, rimettere in libertà provvisoria o tenere in carcere gli spazzini. Davanti ai giudici, fino a tarda ora, sfileranno novanta persone, tutti dipendenti municipali. Saranno in gran parte scarcerati in attesa del processo. Solo uno verrà completamente prosciolto dalle accuse. Per altri settanta, anche loro tornati in libertà, il giudizio è sospeso: non essendo stipendiati dal Comune, ma da alcune cooperative convenzionate, non possono essere giudicati per truffa ai danni della pubblica amministrazione. Nel piazzale davanti alla pretura le donne urlano a più non posso. Anna Cerasuolo, moglie di uno degli arrestati, ce l'ha a morte con il sindaco Bassolino e il questore Lomastro: «Glielo diamo noi il G7 urla -, siamo pronte a bloccare tutte le strade di Napoli». Non la sfiora nemmeno il sospetto che, se le hanno arrestato il marito, un motivo deve pur esserci. «In ventiquattro anni di lavoro non ha mai avuto una nota di biasimo - spiega -. Che ha fatto di male?». Già, che ha fatto? «La polizia non l'ha trovato perché lui era andato in un ufficio per pagare la bolletta della Sip. Ma la strada, ve lo giuro, era pulita». Tra la folla di madri, mogli e sorelle che attendono di conoscere la sorte dei loro cari finiti CATANIA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Condanniamo gli imputati a dieci anni di reclusione e tre di sorveglianza speciale»: il presidente della Corte finisce di leggere la sentenza e nel tribunale si scatena il putiferio. Urla, insulti, pugni e calci contro le supellcttili dell'aula. Finisce così il processo ai tre tifosi messinesi accusati di avere causato, assieme a due minori, la morte di Salvatore Moschella, 21 anni, che si lanciò dal treno in corsa per sfuggire alle loro minacce. La prima sezione della corte d'assise di Catania ha emesso ieri pomeriggio il verdetto, dopo 4 ore di camera di consiglio. Subito dopo, si è scatenata l'ira dei familiari di Stellario Ruggeri, 26 anni, Gaetano Arcidiacono, 24 anni, e Natale Cancellieri, 20. Nel mirino, soprattutto, la vittima e i familiari, che si erano costituiti parte civile: «Era pazzo, avete rovinato le nostre famiglie, vi siete comprati i giudici; non doveva uscire di casa quel giorno, e non gli sarebbe successo un bel nulla», gridavano. «Quel giorno» era il 30 gennaio scorso. Moschella era salito alla stazione di Siracusa sul treno che avrebbe dovuto portarlo al Nord, in cerca di lavoro. Fu bloccato e picchiato da un gruppo di cinque tifosi, due dei quali minorenni, solo perché aveva tentato di difendere una ragazza di colore che gli ultras stavano molestando. Fu una lunga caccia all'uomo, durata per FOGGIA della Cgil di Siracusa, mentre andava via si è lasciato andare al suo unico sfogo: «Soddisfatto per questa sentenza? Che vale? Nessuno potrà riportarmi mio figlio». Il padre di Salvatore Moschella se l'è anche presa con un passeggero del treno della morte, «un militare di leva che non mosse un dito per mio figlio, nonostante fosse nelle condizioni di intervenire». Poi si è messo sottobraccio la moglie, in lacrime, ed è andato via dicendo: «Onore al merito di mio figlio». Poco più in là, nell'antisala dell'aula giudiziaria, le grida e le minacce continuavano: «Era un pazzo, vi siete comprati i giudici». perc La folla ai funerali di Salvatore Moschella (nella foto sopra) Fabio Al rché lavoro i banese n un LUCCA. Sono state arrestate a Praga, dalla polizia ceka, le due ragazze accusate del delitto di Hana Kindlova, la «biondina» di 23 anni uccisa sulla spiaggia di Torre del Lago il 19 agosto dello scorso anno. Renata Losova, 20 anni, di Praga e Zdenka Illesova, 25 anni, di Pisek, sono ora in carcere: in base alla legislazione ceka, saranno processate anche nel Paese di origine. La notizia dell'arresto è arrivata proprio alla vigilia dell'udienza preliminare, che al tribunale di Lucca, davanti al giudice Francesco Terrusi, è fissata per il primo luglio. Ancora nessuna traccia, invece, delle altre due persone per la quale la procura della Repubblica ha chiesto il rinvio a giudizio: Zdanek Lacko, il fantomatico Peter presunto sfruttatore delle ragazze e Marek Kindlov, fratello di Hana. Entrambi sono accusati di associazione per delinquere, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Hana Kindlova faceva parte di un gruppo di ragazze ceke portate in Italia e costrette secondo quanto ha sostenuto l'accusa - a prostituirsi da Lacko. Costui, sostengono gli inquirenti, avrebbe poi scelto Hana come sua compagna al posto della Illesova. Questo avrebbe scatenato la reazione della ragazza «esclusa», culminata con l'omicidio per gelosia, [d. b.] n quartiere pericoloso»