E l'Ingegnere irrompe nel bunker del nemico di Emanuele Novazio

Incontro a sorpresa a Palazzo Chigi, prima con il presidente del Consiglio Berlusconi e poi con il vice Tatarella Incontro a sorpresa a Palazzo Chigi, prima con il presidente del Consiglio Berlusconi e poi con il vice Tatarella E l'Ingegnere irrompe nel bunker del nemico A Berlino Disertata la cena conlaPivettì «Il Cavaliere si lamenta per l'Espresso, ma da un anno Sgarbi mi dà del ladro in tv» ROMA. Quando lo si incontra davanti ad uno degli ascensori di Palazzo Chigi è quasi impossibile nascondere l'espressione tipica che appare sul viso di chi non crede ai propri occhi. Ma quel signore abbronzato, che sfoggia un doppio petto grigio chiaro è proprio lui: l'ingegner Carlo De Benedetti, cioè il personaggio che ha combattuto tante battaglie contro l'attuale presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Ma che ci sta a fare l'Ingegnere nella casa, diciamo istituzionale, del Cavaliere? E' andato «a Canossa», come dicono i suoi nemici, ad incontrare il vecchio antagonista per stringere una tregua, un armistizio? No, dal capo del governo De Benedetti c'è stato giovedì della settimana scorsa e chi ha parlato con Berlusconi ha capito che quell'incontro non è andato bene, che la diffidenza tra i due è rimasta: i caratteri delle persone con cambiano. Ma questa volta la missione diplomatica dell'ingegnere ha avuto un'altra meta: la stanza del «vice-premier», il ministro delle Poste Giuseppe Tatarella, cioè il capo di quella delegazione di ministri di An che i progressisti chiamano ancora «fascisti». De Benedetti è reduce proprio da quel colloquio. Ha appena riposto dentro una cartella un libro che gli ha regalato Tatarella: «I diari» di Prezzolini. «Debbo dire che è un personaggio simpatico» si lascia sfuggire sull'ascensore. Poi aggiunge un'annotazione: «Come sarà questa fase politica? Meno drammatica di quello che si poteva pensare. L'importante è che questo governo governi, che non si vada di nuovo alle elezioni». Di più non dice. L'Ingegnere, intanto, è arrivato alla seconda tappa del pellegrinaggio. «Posso fare un salutino al dottor Letta?» chiede ai commessi che stazionano lì. Poi il personaggio scompare. Vale, péro, la pena di aspettarlo. Non si può perdere l'occasione di porre la LE LISTE DI PROSCRIZIONE Ti E MA di democrazia per l'esame dei più piccini: dicano i teneri candidati se la resa dei conti dei vincitori sui vinti è cosa lecita 0 illecita. Il quesito, chissà, avrebbe destato magari qualche interesse anche fra i maturandi, chiamati invece a dar prova suprema di conformismo ad alto tasso di ipocrisia sulla solidarietà. Il regolamento dei conti è uno di quei temi sempre nell'aria. Un anno fa, quando il fronte progressista era sicuro della futura vittoria, giravano liste di proscrizione e si avvertiva quella atmosfera della vendetta che nei western di serie B è sottolineata dal suono lugubre e invitante di una campana. E vivere nel sospetto di far parte di un western di serie B non è esaltante. Quando i sondaggi cominciarono a indicare qual era il vero vento che tirava, le campane dell'altro villaggio cominciarono a tintinnare. E in tv si sviluppavano curiosi dibattiti: ma se vincete voi, ci caccerete via e ce la farete pagare, così come noi avevamo intenzione di fare con voi, o no? Seguiva un regolare bla-bla-bla. E lontana, tinniva una campanella. Da allora abbiamo assistito a due fenomeni: un pre-vittimismo d'anticipo dei possibili epurandi, un atteggiamento di ferma rassicurazione da parte del governo e di Berlusconi in persona (che nega persino di voler regolare 1 conti con Bossi), e un atteggiamento da sfasciacarrozze in libera uscita che con grande fracasso, spesso festoso, promettono la scazzottata finale. E fra loro si notano molti che fino a ieri erano senza voce e altri ai quali era interdetta anche la dignità. Non c'è dubbio che la parte più efficace e forte del sistema comunicativo e di propaganda «La polemica sui ministri fascisti è una falsa polemica. La gente pensa più all'economia che alle ideologie» fatidica domanda all'imprenditore più amato dai progressisti italiani che è appena uscito da un colloquio con Ù ministro Tatarella: cosa ne pensa De Benedetti della polemica sui ministri fascisti? L'Ingegnere non è certo tipo che si tira indietro e giù nel cortile di Palazzo Chigi ci mette poco a rispondere. Dice: «Quella sui ministri fascisti è una polemica finita. Anzi è stata una falsa polemica. La gente in questo momento pensa più alla situazione economica che alle ideologie. Contano più i btp che gli articoli sui giornali. Dicono che c'è stata una svolta a destra in Europa, ma non è vero. In Inghilterra, ad esempio, hanno vinto i laburisti. La verità è che questa volta hanno vinto tutti quelli che erano 'contro'». E mentre l'auto dell'Ingegnere va via quelle parole improntate ad un «sano pragmatismo» risuonano ancora nell'aria. Per uno come De Benedetti, infatti, in questo momento non può non valere il vecchio motto «primum vivere». Alle elezioni non hanno vinto cer- Quel tipo di rapporto che ci deve essere in una democrazia occidentale tra il governo e un imprenditore. Se De Benedetti può essere un imprenditore della seconda Repubblica? Sarebbe scorretto se io rispondessi a questa domanda». Eh sì, sopravvivere. E per sopravvivere ci vuole tanta diplomazia. E' proprio vero bisogna parlare con tutti, stringere legami con tutti, se il proprio «nemico» inaspettatamente finisce a Palazzo Chigi. Specie se poi l'avversario in questione è un tipo con il quale non si riesce a trovare un'intesa. Basta pensare che l'incontro della settimana scorsa tra Berlusconi e De Benedetti è finito, al solito, con una serie di reciproche accuse. «L'Espresso - ha rinfacciato il Cavaliere al suo interlocutore in quell'occasione - ha fatto e continua a fare una campagna provocatoria contro di me». «Non tocchiamo questo punto - ha replicato l'Ingegnere al capo del governo -: il tuo amico Sgabbi è da un anno che mi da del ladro sulle tue televisioni». Questo dentro l'incontro. UMBERTO ECO A sinistra il ministro delle Poste Giuseppe Tatarella Qui accanto Carlo De Benedetti Fuori, naturalmente, ad un amico, De Benedetti ha dato una versione meno tempestosa: «E' stato un incontro di prammatica tra un imprenditore e il presidente del Consiglio. Se abbiamo parlato dei telefonini? Quello è un dato che considero acquisito di cui non devo discutere con il governo. Che ne penso di Berlusconi? Ho avuto l'impressione che è il solito accentratore. E' già stufo degli obblighi che gli impongono i rituali della politica italiana». Se il tono del colloquio è stato questo, se il rapporto con Berlusconi non cambia è ovvio che l'Ingegnere esplori la possibilità di avere altre sponde nel governo. Del resto uno come lui è già riuscito a sopravvivere al «Caf» (l'alleanza tra Craxi-Andreotti-Forlani) e si può scommettere che anche questa volta troverà il modo per andare avanti. E i progressisti? Cosa ne pensano dei movimenti del loro vecchio «campione»? I più sono «comprensivi». «Ormai - dice Carlo Rognoni, già direttore di Panorama e ora deputato del pds - quelli hanno il potere e gli imprenditori pensano soprattutto ai soldi. E' il loro mestiere. Certo al situazione è brutta». «Ma è chiaro - gli fa eco Lanfranco Turci - che chi ha il potere lo usa. Un mio amico di Bankitalia mi ha raccontato che si incontra mezzo mondo della finanza ai cocktails di Fini». L'unico che fa un sorriso amaro è Mario Segni. «E che c'è da meravigliarsene? -domanda - Non dico di De Benedetti, che è un imprenditore e deve avere rapporti con il governo, ma in Italia c'è un sacco di gente che è pronta a salire sul carro del vincitore, salvo scenderne non appena cambia l'aria. Succede in tutto il mondo. Da noi però è peggio perchè non ci sono regole, per cui una maggioranza ci mette poco a diventare un regime». Augusto Minzolini E nei mass media la vendetta finisce per colpire gli «innocenti» prodotto della vecchia Europa: cuius regio, eius religio, la condanna acl adottare religione e tessera del monarca avuto in sorte, o indossare la livrea del vincitore, pena la vita. Naturalmente tutto ciò vale anche per le altre reti televisive pubbliche, che però si limitavano a portare a termine il numero richiesto di bassi servizi per boss di riferimento. E vale per l'intera professione giornalistica, mancando la nozione sacrale dell'informazione come come ferrea garanzia di istituto in nome e per conto del costumer: consumatore, cittadino, utente. Al posto della funzione d'istituto del giornalista e del giornalismo (alle cui singole moralità è affidato il mestiere e il suo prodotto) è stata accreditata una nuova etica il cui primo comandamento dichiara che la verità (quella piccola, minuscola, giornalistica,) non esiste. Al suo posto c'è un vecchio impostore, la «pluralità dell'informazione» (la somma di molte bugie) e l'abuso di manifestazioni collettive prefabbricate, cioè le famose piazze. Ed ecco che spunta purtroppo sul nostro vecchio «corrai» e nel saloon in cui non si è fatto che barare e inchiavardare la roulette, una nuova fosca alba: quella del regolamento dei conti. Non l'atteso arrivo del portatore triste e fermo delle regole fisse e comuni, come Gary Cooper, sceriffo calvinista di «Mezzogiorno di fuoco», ma l'arrivo in paese di nuovi pistoleros, gli sconfitti del primo tempo, per regolare i conti. Tutto ciò, in un western di terz'ordine, sarebbe altamente conseguente e forse divertente. Ma vorremmo essere i primi a dichiarare, e a chiedere di sottoscrivere, che i tempi dell'«OK Corrai» sono finiti e che comincia il tempo delle leggi, dello stile, del rispetto. Paolo Guzzanii Irene Pivetti presidente della Camera dei deputati BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Irene Pivetti definisce il viaggio di due giorni in Germania, prima uscita dall'Italia del presidente della Camera, una visita «concreta», «densa di incontri istituzionali e di contenuti». Ma la soddisfazione - alimentata dalla cordialità dell'incontro con la sua omologa tedesca, Rita Suessmuth, e degli altri interlocutori - è corretta da un filo di imbarazzo, complici qualche giornale e alcuni gruppi politici: soprattutto la tappa berlinese, prima del trasferimento a Bonn, ha sfiorato l'incidente. I socialdemocratici, i Verdi e i post comunisti del pds hanno infatti rifiutato di sedersi a tavola con Irene Pivetti, l'altra sera: «Per ragioni politiche», come precisa un documento dell'Spd di Berlino che fa riferimento alle polemiche sollevate da alcune sue dichiarazioni considerate antisemite (ma anche ieri smentite dal presidente della Camera, che ha parlato di «accuse infondate e oltragiose» delle quali si è fatto «uno spregevole uso strumentale»). Al tavolo della Gaestehaus del Senato berlinese sedevano soltanto i rappresentanti democristiani e quelli liberali (questi ultimi però «con il mal di pancia», sostiene uno di loro, Thomas Seering). E il livello protocollare, secondo Renate Laurien, è stato tenuto al livello più basso possibile. Secondo Irene Pivetti, tuttavia, la vera destinataria della protesta non era la terza carica istituzionale del nostro Paese: «Quanto è accaduto non aveva niente a che fare con la mia visita, ma con la crisi in corso nel governo regionale» formato da democristiani e socialdemocratici, che ha rischiato di cadere proprio nelle ore in cui Irene Pivetti era a Berlino. Insomma - accusa il presidente della Camera - la visita è stata strumentalizzata a fini politici locali, nel momento in cui «era in corso un dibattito politico interno molto acceso». Prova ne sia che a Bonn, ieri, i rappresentanti del gruppo parlamentare socialdemocratico hanno accolto come previsto l'ospite italiano, e che nessun partito ha protestato a livello federale. Un lieve disagio ha comunque accompagnato una visita che era stata certo pensata come una tranquilla occasione di confronto sui temi dell'Europa con il borgomastro Diepgen (45 minuti di colloquio nella sede del Municipio di Berlino), il presidente della commissione Esten del Bundestag,. Hans Stercken, una delegazione parlamentare e il presidente del Parlamento federale Rita Suessmuth, incontrati ieri a Bonn prima della partenza per L'Aia, dove oggi e domani si riuniranno i vertici parlamentari di tutti i Paesi aderenti al Consiglio d'Europa. Ma se una certa immagine dell'Italia si è diffusa all'estero all'indomani del rinnovo del Parlamento e della formazione del governo Berlusconi, accusa ancora Irene Pivetti, è colpa di un «certo effetto eco» favorito dalla stampa piuttosto che «il frutto di un'analisi seria» su quanto è avvenuto e sta avvenendo nel nostro Paese. L'Italia, al contrario, «non è isolata in Europa» perché ha dimostrato di «sa per riemergere da una grande disaffezione per la politica nel perfetto rispetto delle regole democratiche». In un incontro con i giornalisti, Irene Pivetti ha affrontato anche il tema delle elezioni anticipate: una «ipotesi non molto realistica», secondo il presidente della Camera, perché «il dato emerso dalle elezioni è molto chiaro», l'Italia «ha bisogno di essere governata», e «il governo è nelle condizioni di governare». Emanuele Novazio