Riparte l'offensiva di Achille

Grandi manovre per Veltroni alla segreteria, poi Occhetto presidente del pds Grandi manovre per Veltroni alla segreteria, poi Occhetto presidente del pds Riparte l'offensiva di Achille «Non farò il Cincinnato» RIFORME un ruolo, un'influenza sul partito e un suo gruppo dirigente». Se riuscisse a installare Veltroni al secondo piano di Botteghe oscure, infatti, Occhetto, al congresso del pds, potrebbe ottenere per sé la carica di presidente del partito. Ed è per questo motivo che il leader dimissionario si è adoperato in tutti i modi per convincere il recalcitrante direttore dell'Unità a scendere in lizza. E pare proprio che ci sia riuscito, visto che Veltroni aveva stretto con D'Alema un patto di non belligeranza, che un paio di giorni dopo Occhetto ha fatto saltare. Certo, i due candidati fanno sempre in tempo a seguire la strada indicata da Franco Bassanini. Ossia quella dell'accordo in nome dell'unità del partito. Ma l'idea non sorride a Occhetto, che la osteggia. Lo si deduce dalla virulenza con cui Petruccioli si affanna a spiegare ai compagni di partito che «Walter non si tirerà indietro». O dalla sicurezza che un altro occhettiano, Fabio Mussi, dimostra quando dice: «I candi¬ Il direttore dell'Unità Walter Veltroni dati sono e resteranno due». Accordo? Mai. Perciò gli uomini del segretario dimissionario stanno tempestando di telefonate tutti i consiglieri nazionali. Anche quelli che voteranno per D'Alema. E' capitato, infatti, che l'addetto stampa di Occhetto, Massimo De Angelis, abbia chiamato Mario Tronti, per perorare la causa del direttore dell' Unità: «Sai, sarebbe un ottimo segretario». Il suo interlocutore, però, gli ha chiarito subito le idee. Ma se Veltroni, alla fine, non ce la facesse? Grazie all'altissimo quorum previsto per l'elezione del segretario, gli occhettiani potrebbero pur sempre riuscire a sbarrare il passo a D'Alema. E così il leader dimissionario raggiungerebbe l'obiettivo minimo: far fuori il suo ex numero due. A costo di spaccare il partito? Sembra impossibile. Ma molti a Botteghe oscure ricordano il grido di guerra d'Occhetto dopo la sconfitta elettorale: «Farò di tutto per evitare che diventi segretario uno che quasi si è opposto alla svolta, come D'Alema». L'odiato D'Alema. Di cui già qualche anno fa il segretario diceva: «Quando entra nel mio ufficio mi sento a disagio». Incompatibilità caratteriale più che politica, dunque. E questo spiega forse più di ogni altra cosa, il comportamento di Occhetto. Maria Teresa Meli Da sinistra, Renzo Imbeni, Walter Vitali e Massimo D'Alema in compagnia di Achille Occhetto Le sezioni emiliane chiedono più potere fortuna che a un certo punto passa la Ines, una bella signora sui 50, che la pensa così: «Stasera non c'è nessun attivo in sezione, c'è l'Italia in televisione e se proprio devo essere sincera tra qu,ei due romani lì, preferisco il sindaco Imbeni...». Anche dentro il palazzo della Barberia è un bel mortorio: corridoi imbiancati, qualche raro funzionario e finalmente al primo piano, il compagno Pellicano, che tiene in mano l'organizzazione: (Assemblee nelle sezioni? In così poco tempo non avranno fatto in tempo ad organizzarle...». Insomma, il duello VeltroniD'Alema non appassiona la «base». Certo se ne chiacchiera alle feste dell'Unità, ma senza grandi passioni. E con qualche distrazione: «Ehi, ma quello è il candidato, è D'Alema...», aveva detto l'altra sera alla Bolognina la Luisa, che stacca i biglietti allo stand della lotteria. Ma oggi il duo Sabattini-La Forgia, gli ex ingraiani diventati i capi del partito, tenterà il colpo grosso: nel salone di via Barberia si ritroveranno tutti assieme i 500 capi del partito bolognese: sindaci, dirigenti piccoli e medi discuteranno tutti assieme e alla fine andranno a compilare il questionario spedito dal Bottegone. Dice La Forgia: «Oltre a Veltroni e D'Alema credo che emergeranno altri nomi, tipo Vitali e Imbeni». Bologna la rossa stavolta si gioca il tutto per tutto. Fabio Martini da è diventata la squadra di Arrigo Sacchi, nelle cui equazioni non c'è posto per geni e sregolatezze. La questione si era posta già nel Milan, che di questa squadra azzurra è il modello. Allora contro Sacchi c'era Van Basten. Dopo anni di malcelata antipatia, l'olandese ha cominciato ad alzare la voce. E il profeta ha tuonato: «O me o lui». Berlusconi, naturalmente, ha scelto il capitale. Così Sacchi è arrivato in Nazionale dove gli è capitato sulla pelata la tegola, per lui, del calciatore «più bravo del mondo». Un genere di bravura che al suo calcio non serve. Ma stavolta, forte dell'esperienza, Arrigo è andato avanti con sorrisi berlusconiani e guanti bianchi. Fino a ieri ripeteva che allenare un talento come Roberto Baggio era sempre srato il suo sogno, che non l'avrebbe cambiato con Diego Armando Maradona. L'ha cambiato ieri con Marcheg¬

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