Baggio il sogno diventa incubo

Il giorno amaro del campione: lo sguardo incredulo verso Sacchi, poi va fuori Il giorno amaro del campione: lo sguardo incredulo verso Sacchi, poi va fuori Baggio, il sogno diventa incubo Sostituito dopo mezz'ora: «Chi, proprio io?» Un piccolo soldato blu, solo in mezzo al grande stadio, cui hanno rubato l'ultima guerra NEW YORK. Come sa essere carogna il destino, come sa essere crudele il fato proprio non le persone che sembrava più avere ingigantito: la sera del coraggioso trionfo azzurro è stata più amara di una sconfitta, più dolorosa di un infortunio, per Roberto Baggio. Quando il funzionario della Fifa ha sollevato in alto il numero 10 il suo per segnalare la decisione presa da Sacchi di levarlo, il piccolo mondo di Roberto Baggio, il regno di un principino degli stadi è andato in frantumi. Eravamo andati allo stadio, avevamo acceso i televisori per assistere alla resurrezione o alla sepoltura di una piccola divinità del pallone, pronti tutti a osannarlo o a sbranarlo. Abbiamo assistito invece al dramma di un piccolo soldato blu caduto sul campo prima ancora di poter sparare. «Chi? Io?» chiedeva Baggio indicandosi il petto, tirandosi la maglietta sulla faccia con rabbia più forte del sudore, quando finalmente ha capito che toccava a lui scontare la pena inflitta a Pagliuca. «Io fuori?» ha mormorato trotterellando prima verso gli spogliatoi in un gesto di rabbia poi, docile, verso la panchina, e la sua capigliatura, quel, codino che tanto abbiamo raccontato, sembrava divenuto non più un gesto di sfida ma_un gigantesco pùnto interrogativo. Si può amare o no Baggio, si può criticare il suo gioco, venderlo, acquistarlo, ma non si può oggi, dopo aver assistito alla bizzarra crudeltà del pomeriggio dello stadio dei Giants non provare per lui compassione. Aveva puntato tutto sul Mondiale. Aveva giurato a se stesso di sacrificare tutto per questo palcoscenico, e aveva atteso New York come un tenore attende la Scala per avere la consacrazione finale sull'altare dei Pelé e dei Beckenbauer. E tutto quel che ha raccolto finora sono stati una sconfitta penosa con l'Irlanda e venticinque minuti di gioco appena con la Norvegia, mentre gli è stata rubata la gioia per il gol, l'abbraccio dopo la prima vittoria, le braccia alzate al cielo, come gli altri: ancora una volta diverso da tutti. Speriamo che il suo dio, il suo Buddha sappia consolarlo, in queste ore, perché gli uomini non potranno fare molto per lui. Ci ha provato Minotti, abbracciandolo come un fratellino piccolo quando finalmente Baggio, incredulo, ferito, irritante si è avvicinato alla panchina dove Sacchi l'aveva riportato. E lo stesso Minotti ha dovuto quasi rincorrerlo nell'intervallo, per dargli una carezza sulla testa: Baggio si era incamminato verso gli spogliatoi in disparte, da solo, come il bambino che non vuole più giocare con gli altri sulla spiaggia. Un altro si sarebbe smaniato, ribellato, avrebbe Rob ori Diceva che Trap non lo capiva e che con Sacchi era tutta un'altra cosa. Vedendolo uscire per una sostituzione che neppure lui ha compreso, pensiamo che il feeling si sia interrotto: il possibile re di Usa 94 che esce come un avanzo indigeribile, o un lusso di cui si può fare a meno. Che tirata di Codino. inveito come fece Chinaglia e sarebbe stato comprensibile. Non il piccolo soldato blu che ha dovuto assistere alla battaglia dei suoi compagni senza poter fare nulla. Non è nel suo stile. Dopo lo stupore e l'incredulità, Baggio ha fatto quello che sa fare meglio: ha cercato rifugio nella solitudine. Si possono giocare mille partite e cento coppe, ma ogni giocatore, specialmente un campione come Baggio è sempre solo sul campo, come un'isola. E nessuno è stato mai più solo di Roberto Baggio ieri pomeriggio alle 16,25 mentre i suoi compagni cominciavano a lottare contro la Norvegia con straordinario coraggio, ma senza di lui, mutile come un vaso cinese posato sulla panchina. Nelle ultime ore di preparazione l'avevo seguito passo passo per cercare di capire come avrebbe vissuto la vigilia di una partita che sembrava essere la sua ultima spiaggia. Mi avevano raccontato che aveva dormito bene perché lui dorme sempre bene: i compagni lo chiamano «SonnoIo», per la statura e la prodigiosa capacità di addormentarsi. Ma attorno a lui avevo visto crescere un'aureola di solitudine, come una sorta di astronave nella quale lo scorrere dei minuti lo andaya_sempre più chiudendo. Nel silenzio del cortvènto-liceo di Pingley interrotto soltan¬ Ca Lotta leonino per dimostrare che meritava di tornare in squadra. Solo qualche piccola incertezza gli impedisce di deviare in porta due buoni lanci nel primo tempo, però si prodiga nello scontro fisico, tiene sempre svegli i norvegesi. M Entra al 24' della ripresa e, che segni lui oppure no, è un portafortuna: appena mette piede in campo arriva il gol di Baggio2. to dalle grida di Sacchi, Baggio si muoveva senza espressione in una serie di movimenti casuali, di improvvise pause per ascoltarsi dentro e sentire la vocina dei suoi muscoli fragili che possono infrangersi a ogni istante. Tutto a un osservatore di passaggio sembrava normale tranquillo infantile. Invece niente era sereno e giocoso per lui. Mai lo è per i fuoriclasse e lo avremmo visto poche ore dopo, nella incredibile avventura dei Giants e dell'Italia senza Baggio. Lo avevo avvicinato e nella sua faccia, sempre così gentile e contenuta, c'erano tutti i segni dell'ansia, gli oblò dell'astronave che si andavano uno a uno chiudendo verso il decollo. Mi ero vergognato un poco a chiedergli che cosa avrebbe mangiato per l'ultima cena, poco, un po' di pasta, pollo e verdura, che cosa avrebbe fatto la sera, niente, mi chiudo in camera a guardare la partita e poi alle dieci mi addormento, a che ora si sarebbe alzato il giorno dopo, le otto e mezza, e se il tendine gli facesse male nel punto dove gli avevano dovuto costruire una scarpa speciale di sughero e di gommapiuma per attutire il dolore. Erano domande cretine che imponevano risposte cretine! ma nessuno poteva immaginare il dra\nma straordinario che ventiquattr'ore dopo stava A destra Gianluca Pagliuca esterrefatto dopo l'espulsione per succedere. E l'aureola di solitudine si stringeva sempre più attorno a Baggio. Forse anche quel suo aver scelto il buddismo, lui figlio del Veneto, è un altro sintomo di questa continua assillante ricerca di solitudine culminata ieri nell'abbandono della squadra. Chi può essere solo e sentirsi più solo di un buddista a Vicenza? Aveva pregato ieri mattina Baggio? Come sempre ho recitato le litanie buddiste nella preghiera del mattino, mi aveva risposto. Si era fatto massaggiare dal fisioterapista privato? Sì. Aveva letto qualcosa? Sì, qualche pagina di uivvecchio romanzo di Saviane, la storia di un prete e un giocatore di calcio che si innamorano della stessa donna, nella quale il calciatore si chiama: Roberto da Caldogno. Il paese di

Luoghi citati: Caldogno, Irlanda, Italia, New York, Norvegia, Usa, Veneto, Vicenza