FBI, DONNE E MICROFONI PER INCASTRARE IL PADRINO di Ernesto Gagliano

FBI, DONNE E MICROFONI PER INCASTRARE IL PADRINO FBI, DONNE E MICROFONI PER INCASTRARE IL PADRINO Un'inchiesta su John Gotti e la mafia di New York nelle strade di Brooklyn (da ragazzo il suo idolo era il gangster Albert Anastasia) Gotti sembra un boss imbattibile. Ha consiglieri astuti, legali compiacenti, sicari come Salvatore Gravano, detto Sammy Bull, fisico da Terminator, pronto a togliere di mezzo avversari e «cumpari» che sgarrano. Ha perfino un poliziotto-talpa nelle file avversarie. Riesce a farla franca in tre processi per omicidio, comprando un giurato e addomesticando testimoni. Alla terza assoluzione, quando la sua Cadillac nera arriva in Mulberry Street a Little Italy, molti applaudono: «Vai forte, John». I media l'hanno reso celebre, Andy Warhol gli ha fatto il ritratto, qualche fan gli chiede l'autografo. Secondo il Bureau, incassa ogni anno (racket, usura, droga) oltre dieci milioni di dollari; e ha battezzato ironicamente il suo motoscafo «Non colpevole». E' legato agli affetti familiari, gli agenti scoprono che va al cimitero alla tomba del figlio Frank, morto a dodici anni: de¬ 1 ^Jm/P**** pone fiori, parla e sospira. Ma questo lutto è segnato da un episodio agghiacciante. Frank, sbucando in motorino da dietro un camion parcheggiato in seconda fila, era stato ucciso dall'auto di un mobiliere cinquantenne, John Favara. E' sparito anche l'investitore, qualche tempo dopo, colpito a randellate e scaraventato in un furgone. Spiegazione di Gotti: «Non mi dispiace se gli è successo qualcosa: ha ucciso il mio ragazzo». Informazioni dell'Fbi: «John Gotti aveva voluto segare personalmente l'assassino del figlio in piccoli pezzi». Tempi amari per i segugi della C16 che cercano la mossa dello scacco matto. Le armi decisive? Donne che frequentano i mafiosi e diventano informatrici, convinte dalla polizia con promesse o ricatti, e sopiattutto l'«esca elettronica». Entrano in azione strumenti sofisticati, furgonilaboratorio spiano con periscopio, agenti da un alloggio vicino controllano l'ingresso del quartier generale del boss, il Ravenite Social Club, puntando giorno e notte binocoli e un cameorder con intensificatore di luce. Ma il vero colpo lo fanno i «microfonatori», riuscendo (sono arrivati prima dell'alba con il camion della spazzatura) a piazzare i migliori aggeggi «piccoli come fiammiferi e in grado di captare un sospiro a otto metri» nel condotto del riscaldamento accanto al tavolo di Gotti e nel salotto di una vicina, oltre il cortile, dove lui crede di poter conversare lontano dalle microspie: «Devi rilassarti in casa tua, e... Proprio come ci stiamo rilassando qui». Saranno le sue parole a tradirlo. La tenaglia finalmente si chiude, il Padrino viene preso e condannato all'ergastolo nel processo del marzo 1992 dove anche Sammy «Bull» Gravano, diventato dopo l'arresto collaboratore «protetto» della giustizia, si unisce alla voce dell'accusa: «John era il boss, io il sottoboss». E' proprio la fine. Bruce Mouw e i suoi uomini tirano un sospiro di sollievo perché l'inchiesta, durata sei anni e costata al contribuente 75 milioni di dollari, poteva fallire come «un lancio di dadi». Rivedremo la vicenda sullo schermo, la Columbia Pictures progetta un film ricavato dal libro. Howard Blum è di quei giornalisti che plasmano la cronaca mescolando azione e dialoghi incalzanti, pronti per la sceneggiatura. E ha tra le mani un vero personaggio, versione aggiornata di Al Capone. Ernesto Gagliano Howard Blum Gangland Mondadori pp.37I.L. 32.000

Luoghi citati: New York