FUGGIAMO LA NOIA di Mirella SerriGian Paolo Ormezzano

FUGGIAMO LA NOIA FUGGIAMO LA NOIA Da Cerami a Siciliano, consigli d'autore per divertire con la scrittura TRE libri di religiosi cattolici sullo sport: tempisti in giorni di calciomondiale, con Berlusconi che invita a pregare azzurro, con il Matarrese vescovo, fratello del presidente federale, che si impegna in primissima persona. Il rischio, quello del luogo comune sulla bella cosa - lo sport, appunto - che fa bene a corpo e spirito eccetera eccetera. La scoperta, quella di una ormai piena e anche sofferta ammissione e conoscenza, da parte del clero spicciolo e della chiesa ufficiale, dei problemi realissimi insiti nella pratica dello sport (e specie del calcio), sia per gli atleti che per i tifosi e gli educatori. Abbastanza ufficialmente il sacerdote impegnato «dal vivo» sembra riconoscere che lo sport non è più comodo come una volta da proporre, da esporre, da usare. Sono tre libri coraggiosi. Quello diciamo più «autorevole» è di don Carlo Mazza, direttore dell'ufficio nazionale della Conferenza Episcopale Italiana per la pastorale del tempo libero, turismo e sport. Ancor giovane prete bergamasco, è entrato in pieno nel mondo olimpico come cappellano azzurro ai Giochi di Seul 1988: è rimasto chioccato, solo in rninima parte positivamente, dalle problematiche e dalle implicazioni e dalle deviazioni del grande sport moderno. Il suo libro, Sport e società solidale, esamina lo scibile dei SI spengono le luci, lo spettacolo ha inizio. La bocca si spalanca, un filino di saliva cola dal labbro inferiore. La testa crolla da un lato. Lo spettatore dorme. Ebbene sì, può capitare, anzi, avviene più spesso di quanto si pensi. E' di questi giorni la notizia che lo Stabile di Torino, sotto la nuova direzione di Guido Davico Bonino, ha promosso tra gli spettatori un referendum antinoia per alleviare le loro sofferenze. Davico Bonino ha preso il posto di Luca Ronconi, regista di fama internazionale ma anche sottoposto a dure criti¬ che per aver sottovalutato le capacità di resistenza del pubblico (con spettacoli come Strano Interludio, sei ore di durata), considerati debordanti e indigesti. La cultura dello sbadiglio, purtroppo, non imperversa soio sul palcoscenico. Masolino d'Amico, proprio sulle pagine di Tuttolìbri (21-5-'94) ha ricordato il caso di un «facoltoso illetterato di mia conoscenza che aveva comprato un romanzo vincitore di un premio letterario. Lo ha letto fino in fondo e ha promesso che non avrebbe mai più provato a leggere un libro». La noia incalza. Eppure sono finiti i tempi in cui si usciva, sazi di immobilità e di voci roche dai teatrini d'essai o dai cineclub dove gli epigoni di Antonioni filmavano strade deserte e movimenti rallentati. Il Living Theatre, capostipite di tanti sormellini, non fa più scuola con spettacoloni di oltre quattro ore e con gli spettatori che scivolavano via carponi. Sono finiti i tempi in cui i romanzieri pestavano le orme di Beckett o di Joyce per imitare interminabili flussi di coscienza. Siamo a una svolta. Pena l'infanticidio, come ricorda Masolino d'Amico: «Oggi è importante che chi ha compiuto il gran passo di staccarsi dalla passività del teleschermo ed è uscito di casa per acquistare un volume o per ascoltare uno spettacolo dal vivo venga incoraggiato a rinnovare l'esperienza; snobbando costoro o deludendoli o semplicemente annoiandoli, si compie una specie di infanticidio culturale». Il libro-killer e lo spettacoloErode continuano a mietere vittime. Da dove nasce la noia, l'in¬ soddisfazione per il prodotto culturale di questi ultimi anni? Vincenzo Cerami (autore di testi teatrali, oltre che scrittore e sceneggiatore) non esita a ricordare che la questione è di antica data: «Nel Faust di Goethe all'inizio parlano tre personaggi: un attore comico, un impresario e un poeta di compagnia. Discutono se il teatro deve andare incontro al pubblico oppure no. Certo il problema non è nuovo, ma forse oggi è arrivato alle estreme conseguenze. Se il teatro fa dormire è perché "è" muto, non parla, non comunica. Bisogna, però, stare attenti a non sostituire la cultura della noia con quella della risata bieca, sgangherata». Dopo alcuni decenni di opere impegnate e di spettacoli mattonano sono comparsi, poi, i comici e i libri scritti da umoristi. Hanno fatto scuola? Il loro successo di vendite troverà molti imitatori anche in altri campi? Carlo Verdone di recente si è lamentato delle storie tristi del nostro cinema, dell'incapacità di fare vero spettacolo con storie brutte e noiose, abitate da personaggi scalcinati. Commenta Cerami: «Nel cinema la questione è un'altra. La concorrenza degli americani è spietata. E per affrontarla ci vogliono molti mezzi economici, perché i film belli costano. E poi, dal momento che gli spettatori cercano un'identificazione con quello che stanno vedendo, ora la trovano soprattutto nei film che vengono da oltre oceano». E in letteratura o a teatro? «Adesso è più che mai necessario commuovere, emozionare. Questo lo può fare benissimo anche un'opera "classica", portata sul palcoscenico. Ma attenzione: non deve essere ridotta, come si Pilla 1 rapporti fra sport, uomo, mondo, denuncia tanti mali dello sport e si chiede: «Se questo è lo sport di oggi, come una comunità cristiana può intenderlo e viverlo perché sia e resti un valore?». Naturalmente ci sono anche le risposte: ma dobbiamo cambiare noi, per cambiare lo sport che è cambiato. Diremmo che quello di Carlo Mazza è il primo grande atto di coraggio ufficiale, togato, della chiesa verso una «creatura» sin qui presentata come una delle più belle e buone che ci siano e che ci possano essere. A proposito: è messo insieme da Carlo Mazza, con contributi illustri, a cominciare dalla prefazione del et. del calcio azzurro Arrigo Sacchi, anche Fede e sport, bel libro che è più spirito che praticacela, più cultura che casistica, più fa molto spesso, a puro pretesto per virtuosismi di regia. Innanzitutto un classico deve essere sostenuto da una buona traduzione, possibilmente resa in un linguaggio che ci sia vicino. Il teatro italiano dopo Pirandello ed Eduardo De Filippo non ha più parlato una lingua attuale. I registi usano troppe mediazioni culturali nelle messe in scena e tralasciano le questioni che il pubblico può avvertire come essenziali». L'imperativo di cercare, quanto più possibile, di non deludere lettori e spettatori, sembra accettato dalla maggior parte degli addetti ai lavori. Ma il problema della noia è qualcosa che va al di là del teatro e della cultura: «E' un sentimento molto soggettivo - osserva Edoardo Sanguineti -, a un lettore alcune opere risultano oscure, ad un altro chiare e comprensibili. Prendiamo uno spettacolo della tivù: per uno è umoristico, ironico, gradevole. Per un altro è futile, superficiale, fa¬ Vincenzo Cerami m ì stidioso. L'esempio più calzante si può fare con Proust. C'è chi lo considera un testo godibilissimo, che si consuma riga per riga, e arrivato all'ultima pagina della Recherche deplora che sia finito. Per altri è un'avventura insopportabile. Però libri di straordinario successo, ad esempio come quelli di Umberto Eco, hanno chiesto al lettore di esibire come virtù la pazienza. Sono convinto, poi, che la scuola in questo campo può far molto, può allenare a leggere, a non rifugiarsi nell'alveo protettivo del telecomando». No, non c'è nessun allenamento che tenga. Letteratura e spet¬ Il fascino dello sbadiglio è morto: ecco come «dialogare» con il pubblico senza dimenticare che per il teatro e la letteratura bisogna allenarsi alla pazienza Libri che pungono, che irritano, che fanno bruciare gli occhi ma che non concedono nulla al lettore: la proposta di Barilli è agli antipodi della sollecitazione di chi, come Masolino d'Amico, fa l'elogio di una pièce che ha il merito di «attirare il pubblico contento di divertirsi in modo forse elementare ma non spregevole». Siamo sulla strada dei referendum antinoia per la letteratura, con tanto di scheda inserita nel volumetto? E, in teatro, non sarebbe meglio seguire l'esempio di Broadway dove quando uno spettacolo non funziona, dopo tre giorni, lo si toghe dal carteUone? Enzo Siciliano, di cui va in scena in questi giorni a Roma Scuola romana, considera l'iniziativa del referendum «un'operazione demagogica. Non possiamo schiacciare letteratura e teatro sui sondaggi. Io non voglio difendere la marginalità. Ma i grandi eventi culturali sono nati, spesso, proprio da iniziative di minoranza. Dato l'insuccesso dei "Sei personaggi" al suo debutto, Pirandello avrebbe dovuto sparire dalla circolazione? E se avessimo contato i lettori di Gadda o di Landolfi, negli Anni Trenta, certo oggi questi scrittori non esisterebbero. Meglio andare controcorrente e infischiarsene se il pubblico sbadiglia». tacoli teatrali non possono fare concorrenza allo zapping. Devono ignorarlo ed entrare nel laboratorio, chiudere la porta a chiave e darsi alla sperimentazione: è la drastica opinione di Renato Barilli, il quale non si nasconde che «la narrativa e il teatro sono i grandi malati del nostro tempo. La poesia, invece, è più viva che mai, anche se si rivolge a pochi. Ritengo orribile pensare a una letteratura o a un teatro che vogliano mettersi in concorrenza con il cinema o la tivù, meglio lo sperimentalismo, meglio la performance sgangherata ma innovativa nel linguaggio e nei conte- nuti piuttosto che un libro o un teatro "digestivo", che non ha in sé nessuno scossone. E' così che ci si addormenta veramente». Mirella Serri Gian Paolo Ormezzano

Luoghi citati: Cerami, Roma, Torino