Tre a giudizio per l'uomo ucciso due volte di Claudio Cerasuolo

Tre a giudizio per l'uomo ucciso due volte Tre a giudizio per l'uomo ucciso due volte Travolto da un'auto morì dopo le dimissioni dall'ospedale ottobre del '92 vicino a Chieri, in frazione Pessione. Domenico Franceschi, 39 anni, via Avezzana 32, Chieri, non ebbe il tempo di reagire. Alberto Moscatelli, che, stando ai rilievi della polizia stradale, viaggiava ad una velocità superiore ai 106 chilometri in una zona con limite di 90, invase la sua corsia. L'urto fu inevitabile. Sentito dal pm Amisano, l'investitore, che è difeso dall'avvocato Antonio Forchino, ha sostenuto di essere stato costretto a quella manovra perché un'altra auto gli aveva tagliato la strada sterzando improvvisamente per infilare la piazzola di un distributore di benzina. La terza auto non è mai stata identificata. L'operaio, uscito vivo dal terribile scontro, fu ricoverato alle Mo'inette e sottoposto a radior/rafia ed esami. Continuava a lamentarsi per dolori diffusi in tutto il corpo ma non presenta- L'operaio Domenico Franceschi mori per la rottura dell'aorta non diagnosticata dai sanitari va fratture e i sanitari lo dimisero dopo qualche giorno. Il 26 ottobre le condizioni dell'investito peggiorarono, la moglie chiamò un'ambulanza ma Franceschi spirò durante il trasporto all'ospedale di Chieri. Calogera Perna chiese di celebrare subito il funerale. In caso di morte violenta la legge dispone che sia eseguita l'autopsia della vittima, esame che viene disposto dall'autorità giudiziaria. Pur non avendo ricevuto al¬ cun ordine dalla procura, il personale dell'ospedale aveva deciso di procedere all'operazione il mattino successivo. L'avvocato Maria Teresa Armosino, uno dei due legali di parte civile, contattò nella notte il medico legale Viglino, che il mattino seguente potè assistere all'esame. Sentito successivamente come teste dal pm Amisano, il medico riferì che l'aorta era completamente spaccata: chi aveva esaminato il paziente in ospedale avrebbe dovuto accorgersi della gravità della situazione. Un'opinione che ha pesato sull'esito dell'inchiesta. Secondo il pm Amisano, il primario Olivero e il radiologo Margarita devono rispondere di concorso nell'omicidio colposo per una serie di negligenze ed omissioni. Il radiologo non avrebbe rilevato un allargamento del mediastino e non avrebbe comunque segnalato l'ombra cardio¬ vascolare risultante dalle lastre radiografiche. Il primario non avrebbe prestato la dovuta attenzione alle condizioni del paziente: l'operaio lamentava dolori all'addome ed al torace, gli mancava il respiro, aveva difficoltà ad alzarsi dal letto e il dolore aumentava quando passava dalla posizione supina a quella eretta. Tutti sintomi che avrebbero dovuto allarmare il primario, che invece non ordinò una Tac, non interpellò il radiologo e non valutò correttamente tutti i dati disponibili, omettendo l'esame diretto dei radiogrammi. Secondo gli avvocati Tardy e Obert, difensori del primario e del radiologo, non esisterebbe alcun nesso tra la morte e l'assistenza prestata dai sanitari al paziente: l'incrinatura dell'aorta era imprevedebile e non risultava dall'esame della lastra. Claudio Cerasuolo

Luoghi citati: Chieri, Margarita