Per Ricossa è utopia: gli rispondono Antonio Martino e Sergio Romano di Sergio Romano

Per Ricossa è utopia: gli rispondono Antonio Martino e Sergio Romano Per Ricossa è utopia: gli rispondono Antonio Martino e Sergio Romano // ministro: «Molti tendono al pessimismo. Io no: ventanni fa proporre di privatizzare le Poste sarebbe apparso uno scherzo» 7>7| ROMA L ' EMBRAVA un'avanzata m trionfale, quella del liberi11 smo. E invece proprio uno 'dei più coerenti liberisti, Sergio Ricossa, ha affermato sulla Stampa che il liberismo è un'autopia», sebbene «meno pericolosa di molte altre», ma pur sempre «con quasi nessuna possibilità di realizzarsi». «Meno ti illudi, meno disillusioni avrai», scrive Ricossa a proposito di un liberismo che a suo parere è impossibile da realizzare persino negli Stati Uniti dove il presidente «ha un potere che Berlusconi neppure si sogna». Un liberista pessimista, insomma. Ma al governo, e precisamente al ministero degli Esteri, siede invece uno dei più autorevoli rappresentanti del liberismo ottimista: Antonio Martino. Condivide lo scetticismo di Ricossa sulla possibilità di far diventare realtà l'utopia liberista? «Tutti i modelli teorici sono sempre più perfetti della realtà. Ed è ovvio che un modello teorico non possa venir applicato nella sua versione più radicalmente coerente. Altra cosa è il liberismo praticabile. E qui non ho dubbi: il liberismo è vincente, anzi trionfante, in tutto il mondo». Ci aiuta a tracciare un identikit del liberista italiano del 1994? «Un vero liberista è innanzitutto un liberale in politica, cioè crede che il rischio maggiore per le libertà individuali provenga dall'abuso della politica e dallo strapotere del governo. Auspica insomma una Costituzione che abbia come primo compito la tutela della libertà di ciascun individuo. Inoltre è liberista chi crede che il metodo migliore per promuovere il progresso umano sia quello di consentire agli operatori economici di perseguire il loro interesse in un quadro di regole predeterminate». Le regole. E' proprio il punto dolente su cui battono gb" oppositori di Berlusconi. «E infatti bisogna intenderci, perché spesso i nemici della libertà parlano di regole quando chiedono allo Stato di prefissare per decreto i fini di una società. Le regole che vuole il liberista sono invece minime e non discriminatorie, nel senso che devono consentire la coesistenza delle libertà dei singoli individui: una cornice di norme in cui ognuno persegue liberamente il proprio interesse». Ricossa appare decisamente più scettico di lei. «Molti liberisti tendono al pessimismo. Io no. Penso anzi che se si mettessero a confronto le tesi di Luigi Einaudi con quelle di Friedman constateremmo che il pensiero liberista tende a evolversi nel senso di una sempre maggiore libertà». NEL gran mare di soccer (si dice così, adesso, e sembra un'imprecazione in bolognese) in cui navigano giornali e tivù, provo a far tornare a galla il ricordo di quando sono andato all'Olimpico, un po' di sere fa, a vedere uno che non avevo mai visto, dal vivo, e che bisognerà pur vedere, una volta, prima che smetta di volare: Cari Lewis, quello delle otto medaglie olimpiche, quello dello sport pulito, quello in tacchi a spillo per far pubblicità ai pneumatici: il figlio del vento. Lì, a Roma, al Golden Gala, Grand Prix di atletica, quarantamila spettatori, il magico pubblico romano, dice lo speaker con tono da documentario Luce del ventennio. Vista dalla tribuna stampa l'atletica è una cosa simile a un pomeriggio all'oratorio. Gente che gioca, di qua e di là, ognuno al suo gioco, e tu non sai dove guardare. Ogni tanto gli oratoriani si incrociano, con effetti vagamente comici. Per dire: se ne sta come una statua greca, Sotomayor, il cubano che salta MDNO Sarebbe a dire? passeggeri, oppure che il servizio sanitario nazionale non serve per curare la gente, ma per moltiplicare le prebende di burocrati e politici. E' accaduto cioè che dietro i nobili ideali di socialità lo statalismo ha in realtà creato un gran numero di rendite. Naturale che «Che per esempio Einaudi riconosceva allo Stato un ruolo molto maggiore di quanto non faccia Friedman. Qualcuno penserà a una boutade, ma sono sinceramente convinto che tra dieci anni Reagan e la Thatcher verranno considerati dei socialisti moderati». E non è una boutade? «Non è una boutade riconoscere che noi oggi siamo disposti a credere nella libertà come mai nel passato. Vent'anni fa proporre la privatizzazione delle Poste sarebbe apparso uno scherzo. 0 una barzelletta». Libertà è parola che la sinistra considera anche sua. «Certamente, ma in astratto. In concreto, siamo sicuri che la sinistra è sempre disposta a riconoscere il mio diritto di intraprendere, di scegliere l'occupazione che più mi aggrada, di lavorare un numero di ore pattuito con il mio datore di lavoro?» Sia Romano sia Ricossa sostengono che un conto è predicare il liberismo quando si è minoranza intellettuale, un altro è praticarlo quando si governa. E' d'accordo? «Solo nel senso che il passaggio da un'economia di tipo clientelare a una fondata sulla libertà significa eliminare i privilegi dei gruppi organizzati. Sappiamo tutti che in Italia le Ferrovie servono più agli interessi dei ferrovieri che a quelli del trasporto efficiente di merci e più in alto di tutti, fissando l'asticella con una intensità da amplesso telepatico, ed è un duello magnifico e immobile, in attesa dell'esplosione del salto, se non fosse che poi tra gli occhi dell'uno e la fissità orizzontale dell'altra se ne passano scaracollando quelli dei tremila siepi, dei poveracci, al confronto, delinquenti in fuga, diresti, le scarpe grondanti acqua, i crani scheletrici dei keniani, il fazzoletto grunge legato sulla testa di Panetta, le magliette marce di sudore, gli occhi vagamente atterriti. Sotomayor si vede passare in camera da letto l'allegra brigata di sbandati ma nemmeno sembra accorgersene: continua il suo coito privato con l'asticella. Come all'oratorio, quando ti schizzava davanti, palla al piede, l'ala destra di una qualche partita, e tu neanche lo vedevi perché stavi giocando a figurine (a muro) e ti fosse anche passato un treno, lì davanti, quel che vedevi era solo

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