I malati si barricano in corsia
Napoli, temono la chiusura del reparto. Inutile la mediazione di Costa Napoli, temono la chiusura del reparto. Inutile la mediazione di Costa I malati si barricano in corsia «Curateci!» e buttano il cibo nella strada NAPOLI. I cani, almeno loro, non hanno di che lamentarsi. Sono arrivati a decine, davanti alla palazzina dell'ospedale Monaldi, per partecipare a un pranzo insperato, luculliano per un povero randagio: pasta al sugo, pollo al forno e frutta di stagione. E' il menù del giorno riservato ai trentasei pazienti del reparto di ortopedia tubercolare, direttamente recapitato sul marciapiede da una finestra al quarto piano. Su, in corsia, l'atmosfera è tutt'altro che serena. Pazienti e infermieri non fanno che gridare in una confusione incredibile, che neanche i pochi poliziotti presenti riescono a tenere sotto controllo. Nella storia del «Monaldi», il vecchio sanatorio arroccato sulla collina dei Camaldoli, questo torrido martedì 21 sarà ricordato come il giorno della rivolta. Gli ammalati sono stufi, esasperati: dall'alba rifiutano il cibo che vola regolarmente giù dal balcone per la gioia degli animali affamati, e per due ore, dalle sei alle otto, si sono barricati in corsia impedendo a medici e infermieri di fare il loro lavoro. Il motivo della protesta è contenuto in due fogli di carta intestati alla Usi 41, la parte riguardante il «Monaldi» del nuovo piano sanitario varato dalla Regione Campania. I ricoverati sono infuriati non tanto per quello che c'è scritto, quanto per ciò che è stato omesso. L'ortopedia LA «STRAGE» DEGLI BRIN0CENTI MILANO tubercolare, infatti, non è contemplata nell'elenco dei reparti da salvare secondo il progetto di riorganizzazione degli ospedali. «Evidentemente, per la Regione, la tbc è una malattia debellata, dunque noi non abbiamo il diritto di esistere e di essere curati», grida Gennaro Delle Donne, un ometto con la barba nera e un collare ortopedico che gli tiene la testa immobilizzata. Di energia, nonostante tutto, ne ha ancora da vendere, visto che gli altri lo hanno proclamato leader di una rivolta che rischia di far saltare per l'ennesima volta il fragile castello di carta della sa¬ contano le loro sofferenze e le loro speranze. «Molti di noi hanno la turbercolosi ossea cronica spiega ancora Gennaro Delle Donne -. Riusciamo a sopravvivere grazie all'impegno dei medici e degli infermieri. Ma che cosa accadrà domani? Non è giusto negarci il diritto all'assistenza. Il direttore sanitario ci tratta malissimo. Vuole un esempio? Questa mattina uno di noi, Giovanni Lavorante, si è sentito male. Sa cosa hanno detto quelli della direzione? Che era tutta una sceneggiata». Alle 12,45 un infermiere entra in corsia spingendo un grande carrello con le vaschette cu carta argentata. «Oggi spaghetti, pollo e frutta fresca», annuncia. I pazienti che possono camminare si mettono in fila per ricevere il pranzo. Solo che, una volta afferrato il contenitore, lo lanciano oltre la finestra spalancata. «Questi ammalati hanno bisogno di una dieta particolarmente sostanziosa, non possono digiunare a lungo - spiega il dottor Sergio Russo, aiuto all'ortopedia tubercolare -. Nel reparto facciamo quello che possiamo: continuiamo ad accettare ricoveri da tutto il Sud, perché questa è l'unica struttura specializzata del Mezzogiorno. Ma i problemi sono tanti, a cominciare dagli organici. Mancano gli infermieri e i medici, che sono solo due».
Persone citate: Gennaro Delle Donne, Giovanni Lavorante, Monaldi, Sergio Russo
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