L'universo urla sulle note di Bach

Società' e Cultura Romanzo-rivelazione sull'udito: parla un giovane autore da 100 mila copie L'universo urla sulle note di Bach Dalle colute di lava al ticchettio del plancton DMILANO N pomeriggio del suo quinto anno di vita Johannes Elias Alder udì il suono dell'universo. Arrivò come uno schianto a sfigurargli il viso in un'espressione spaventosa, «come se tutto lo strazio del mondo vi fosse concentrato per lasciare la sua impronta». I suoi occhi verdi di bimbo presero un orribile colore giallo, mentre nelle orecchie dilaniate si sovrapponevano lo scricchiolare delle ossa, il ronzare delle vene e delle arterie, il frusciare dei capelli e lo stropiccio dei tessuti sulla pelle, il rombo assordante delle colate di lava e il ticchettio del plancton. Non bastava che Elias sentisse tutti i suoni dell'universo: li vedeva. E Dio, nella sua infinita crudeltà, continuò a mostrargli quella scena. La storia del musicista Johannes Elias Alder, che all'età di 22 anni si tolse la vita per amore, ha portato fortuna a Robert Schneider, un ragazzo austriaco il cui romanzo Le voci del mondo (Einaudi) è diventato il caso letterario di questi giorni. E lui sorride, rigirando tra le mani la traduzione italiana, alla commedia degli equivoci che ha generato un refuso nella dedica alla sua fidanzata: «Ai battiti del cuore di Pascal». Che non è Blaise Pascal, come ha interpretato la critica in Germania, e non è neanche un amico misterioso, ma una ragazza di 24 anni che studia a Salisburgo e si chiama Pascale. E' stata lei a dargli la spinta a scrivere Le voci del mondo, racconta Robert Schneider nel giardino dell'Hotel Manin, un po' deluso dalle nuvole che accompagnano il suo breve viaggio in Italia. «Era l'autunno del 1989. Non avevo soldi, non ero nessuno, e a quel punto della mia vita avevo già scritto per sette anni senza successo: drammi, lavori teatrali che non interessavano a nessuno». Ma non c'è traccia di rancore sul suo viso allegro da studente: semmai un po' di ironico stupore al ricordo dei 24 rifiuti collezionati da Le voci del mondo prima che diventasse un successo da 100 mila copie, grazie anche alla testimonianza di ammirazione di Elias Canetti. Una bella rivincita, sentire che sarà pubblicato in 24 lingue, dopo che i grandi editori tedeschi gli avevano spiegato che una storia del genere aveva dei confini troppo ristretti per interessare fuori dell'Austria. Ma anche, e soprattutto, una rivincita su se stesso, sulla propria sconfitta come compositore, dopo sei anni di studi al Conservatorio di Vienna. Sarà per questo che Schneider, il narratore dal ritmo veloce, pronto ad affrontare i rischi di una storia patetica congelandola nella geometria esatta dei fiocchi di neve, lascia intendere fin dall'inizio che il suo Elias, il contadinello ignorante che è l'enigma e lo zimbello del paese di Eschberg, pur possedendo un talento geniale non potrà mai realizzarlo. Non solo perché un destino dissipatore ha voluto così, ma perché non sarebbe riuscito a realizzarsi nemmeno in un ambiente musicale più colto e favorevole al suo genio. «E' soltanto colpa mia se ho lasciato il Conservatorio di Vienna prima di aver terminato gli studi», dice Schneider, pulendosi gli occhiali di tartaruga chiara. «Volevo diventare un compositore, ma ho attraversato una crisi molto dura. Eppure, anche oggi, so di essere un musicista più che uno scrittore. E lo si vede da questo libro, che suona come una pagina di musica». E' un bel giudizio, ma un po' riduttivo, il suo, se si pensa al continuo gioco di spiazzamento psicologico a cui Schneider sottopone il lettore, inseguendo il linguaggio tonale di una Cantata di Bach. Ogni azione positiva vira nel suo contrario, ogni attimo di ammirazione per la forza del talento di Elias è distrutto dall'invidia che genera, in quel villaggio di montagna del Vorarlberg, che è insieme un repertorio di folklore alpino e un luogo orrido dove la vita di un genio diventa la caricatura bizzarra di un errore divino. Persino Dio, che appare come un fanciulletto malvagio senza ombelico, è un sadico e un aguzzino. E certo non si lascia commuovere dal fatto che il suo Elias, a cui ha negato la donna amata, parli agli animali come San Francesco. Cosa divide Robert Schneider con Elias Alder? «Il fatto di essermi sentito isolato da tutto, senza alcuna possibilità di comunicare col mondo. Quando a 29 anni sono tornato a vivere nella casa dei miei genitori a Meschach, nel Vorarlberg, è stata dura. Nessuno credeva in questo libro che ho scritto in sei mesi e che mi è costato un anno di rifiuti. E' un paesino piccolissimo e mia madre, che era contraria che scrivessi perché pensava che non mi avrebbe dato da vivere, quando vedeva arrivare il postino con un pacchetto sottobraccio diceva: eccolo che torna indietro, il tuo libro». La madre di Robert Schneider, madre adottiva - «ancora oggi mi chiedo se mi abbiano adottato perché in paese era considerato un fallimento non avere bambini, o perché davvero ne desiderassero» - è morta prima di sapere che Robert aveva vinto la sua battaglia. «Non ha mai letto il mio romanzo. Lo teneva sul comodino e qualche volta lo apriva, ma lo richiudeva subito. Era troppo cattolica, la spaventava». Era arrivato a odiare la fatica di scrivere. «Ricordo che quando ho finito mi sono sentito svuotato: le persone, la natura non mi dicevano più nulla. E dovevo combattere contro tutto il paese, perché ero l'unico che non aveva un lavoro come gli altri, e questo creava dei problemi. Quando è arrivata la notizia del successo del libro in Germania la gente ha detto, questo è sospetto, quest'uomo che non fa nulla ha successo... Si sono seccati, e nessuno lo ha letto». Eppure sono stati loro, con il loro dialetto, a dare a Schneider quell'asprezza verbale che nel romanzo si intona alla crudeltà della storia. Il loro dialetto per il tono, la Bibbia per la struttura delle frasi e le Cantate di Bach per la melodia del racconto, dice Schneider. E ride pensando ai quei critici tedeschi che sono andati a scomodare Màrquez e Sùsskind, per dargli dei padrini, ripiegando infine sull'etichetta di comodo del romanzo postmoderno. E non ne vuole ai suoi compaesani, per tutta questa diffidenza? «Avrei potuto andarmene da Meschach, ma ho deciso di restare perché in quel luogo ci sono ancora delle cose irrisolte della mia giovinezza. Non sono un autore come poteva essere Hemingway, che pensa di doversi muovere continuamente per scrivere. Nel mio piccolissimo paese c'è già tutto il mondo. Io resterò là. Scriverò là il mio prossimo romanzo, e morirò là». Solo, minaccia di firmarlo con uno pseudonimo per vedere se quegli editori, che oggi incontrandolo arrossiscono dall'imbarazzo, glielo rifiuteranno ancora. Livia Manera «Quando è arrivata la notizia del successo, nel mio villaggio del Vorarlberg si sono seccati, e nessuno ha letto il libro» Lo scrittore austriaco Robert Schneider. Il suo romanzo è stato rifiutato da 24 editori: ora è un best seller

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