Vita provvisoria della signorina Larissa

Vita provvisoria della signorina Larissa Vita provvisoria della signorina Larissa Pagine amare e beffarde: lavoro e addio di una giornalista . v. .■. ■:■ . v..:. .v ■ ■ ■. ■.. ■ ...... UN RACCONTO L A signorina Larissa disponeva certamente di uno pseudonimo, ma non di un cognome, in apparenza. Come se la rarità e il bel suono straniero del suo nome avessero dispensato Larissa dall'obbligo borghese di portarne ancora un altro, o come se quest'altro si fosse vergognato, forse perché troppo ordinario, di mettersi accanto a una parola come «Larissa». Era da tempo immemorabile una fedele collaboratrice del giornale, ma per galanteria non si poteva chiamarla «vecchia collaboratrice». Si preferiva dire: una «di esperienza». In effetti la galanteria, una volta tanto, non aveva torto. Larissa non era più giovane, ma rimaneva giovanile. Anzi, il suo essere giovanile non era affatto artificiale, ma piuttosto una sorta di seconda giovinezza naturale che con la prima aveva in comune quella caratteristica stoltezza leggiadra. Ad essa Larissa doveva talvolta movimenti, malintesi, osservazioni, manifestazioni toccanti di un'altrettanto toccante ingenuità, che di colpo, e solo per la durata di pochi secondi, trasformavano l'essere umano adulto e vecchiotto in un'affascinante ragazzetta. Allora Larissa era come un'adolescente di un tempo molto lontano, scomparso. Era come se, morta tanti anni prima nel fiore della giovinezza, si fosse svegliata appena ora, per miracolo, da un sonno eterno, per proseguire la propria giovinezza. In un certo qual modo non era invecchiata, ma era divenuta nel corso degli anni, una dimora, un alloggio della propria giovinezza nascosta, assopita e solo di tanto in tanto desta. Scriveva servizi di moda. Ma poiché la moda da sola non portava guadagni sufficienti, Larissa si occupava anche di tutte quelle cose pubbliche che secondo un'opinione ampiamente diffusa sono «più prossime» alla natura femminile che a quella maschile. Per esempio, di protezione della maternità, orfani, feste di beneficenza, lotterie e cause di divorzio, mostre floreali e asili per senzatetto. Per quanto tali fatti fossero diversi tra loro, pure l'atteggiamento della signorina Larissa di fronte alle manifestazioni del lusso o della miseria rimaneva sempre uguale, la melodia dei suoi reportages - perché al posto dello stile possedeva una melodia sempre la stessa. Solo l'aggettivazione cambiava. Se una volta suonava: «Nelle sfarzose stanze del Casinò... il 21 di questo mese si è tenuto...» ecc., un'altra volta era: «Nelle tetre stanze del ricovero per senzatetto... il 23 di questo mese regnava una gioia luminosa...» ecc. I resoconti scritti della signorina Larissa erano di un realismo chiaro, ottimista, mentre i suoi resoconti orali potevano commuovere fino alle lacrime lei stessa e l'ascoltatore. Possedeva uno sguardo per scoprire il commovente e una voce per raccontarlo. Tuttavia alle parole con cui lo metteva per iscritto mancava il calore e la leggiadria, in breve: «l'animazione» della sua voce. Fra le righe aleggiava, sperduto, il resto di una melodia personale, percepibile ma solo per orecchie molto fini. Poiché però il redattore della cronaca era per Inessenziale nel giornale» ed era solito depennare quattordici righe delle venti che la signorina Larissa aveva scritto, per lo più svaniva per sempre anche il resto della melodia. Per questi e analoghi motivi la signorina Larissa rimaneva un oggetto, uno strumento, un organo ufficiale del lusso, anche quando si occupava della miseria. E perfino i suoi articoli su fatti d'attualità legati alla povertà pubblica finivano dimenticati, poiché si credeva che fossero articoli su feste floreali. Della particolare eleganza che distingueva esteriormente la signorina Larissa è necessario dire ancora alcune cose. Poiché intratteneva ottimi rapporti professionali con i grandi sarti, non andava vestita solo all'«ultima moda», ma già a quella successiva. In primavera indossava già le pellicce estive e in autunno i cappelli invernali. E così lei stessa era la più attendibile e più fedele «anteprima della prossima stagione di moda». Non esiste maggior perfezione giornalistica. Trasformava se stessa nei propri articoli e le righe che scriveva e che le venivano depennate erano forse tanto maldestre solo perché il suo aspetto esteriore aveva precorso il suo talento giornalistico. Anzi, perfino la sua figura sembrava adeguarsi alle alterne mode in arrivo. Acquisiva e perdeva varie «linee», fianchi, petto, spalle. Eppure conservava ciò che potrebbe dirsi il suo «vero essere», per così dire l'involucro corporeo più intimo della sua anima, qualcosa di inadatto ai tempi, di scomparso; e c'era sempre una distanza fra «lei stessa» e la personalità a cui lei di volta in volta si adeguava. Forse era una sua completa mancanza di vanità a rendere visibile questa distanza. La signorina Larissa presentava gli abiti che indossava, quasi come un fisico dimostra gli esperimenti. «Vede», diceva per esempio, «presto si porterà questa guarnizione rettangolare di scoiattolo siberiano applicata alle maniche. Le falde della gonna saranno di nuovo scampanate. Proprio come queste!». E si alzava in piedi, faceva una giravolta, e si poteva vedere la foma a campana della sua gonna. Qualsiasi scherzo, la metteva in imbarazzo. Perché lei, che mai afferrava un doppio senso, aveva sempre paura di un'«allusione spinta». E diventava rossa, in ogni caso, anche quando aveva frainteso qualcosa dr futile, di banale. Quelli erano, tra l'altro, i momenti in cui diventava bella e in cui la si sarebbe potuta amare. Il pudore la rendeva incantevole. Era un'adolescente. Il suo viso sciupato destava imbarazzo, lo stesso imbarazzo che si prova in presenza di un'adolescente: un imbarazzo misto di senso paterno, compassione e desiderio. La signorina Larissa morì di tifo durante la guerra. Era stata infermiera. Morì a Bucarest. Là fu sepolta. Per la prima e l'ultima volta il suo nome per intero comparve sul giornale. Si chiamava Larissa Schorr. Joseph Roth .«Frankfurter Zeitunq» 12-5-1929 Traduzione di Linda .lussino

Luoghi citati: Bucarest