Iran strage nel tempio degli sciiti di Foto Epa

Migliaia di fedeli si erano raccolti da tutto il Paese per le penitenze dell'«Ashura». L'organizzazione dissidente: «Un gesto barbaro, noi non c'entriamo» Settanta pellegrini assassinati, oltre 100 feriti, raffica di arresti nella città santa di Mashad Iran, strage nel tempio degli sciiti Teheran: bomba dei mujaheddin TEHERAN. Quello che ha ammutolito ieri l'Iran è stato il più grave attentato terroristico dalla fine della sanguinosa guerra contro l'Iraq di Saddam Hussein: sono morti mentre pregavano almeno 70 fedeli musulmani e altri 140 sono rimasti feriti, molti in modo grave. Una bomba è esplosa alle 14,30 in un'affollatissima sala del mausoleo dell'imam Reza, il principale luogo santo degli sciiti in Iran, nella città di Mashad, a circa 700 chilometri a Nord-Est di Teheran. Ma sul numero dei morti è subito scoppiato un giallo. Ieri sera, dopo il primo bilancio ufficiale, nel tentativo di ridimensionare la tragedia, «Radio Teheran» ha diffuso un dato del ministero dell'Interno secondo cui l'attentato ha causato 21 morti e 70 feriti. Un portavoce del ministero, tuttavia, ha ammesso che il numero delle vittime è destinato ad aumentare nelle prossime ore. I servizi segreti di Teheran hanno fatto sapere che, secondo le prime informazioni disponibili, la responsabilità dell'atto terroristico è da addebitare ai mujaheddin del popolo, la più potente organizzazione d'opposizione che da anni si batte contro il regime di Teheran. Secondo un dispaccio dell'agenzia «Ima», «i criminali avrebbero così celebrato l'anniversario dell'inizio, il 20 giugno 1981, della loro "campagna di terrore" contro la Repubblica islamica». Il riferimento è a un tentativo di insurrezione dei mujaheddin, avvenuto 13 anni fa, e rapidamente stroncato nel sangue. Ma fu una settimana più tardi, il 28 giugno, che i mujaheddin attuarono quello che resta l'attacco più spettacolare mai diretto contro gli esponenti del regime. In un raid, riuscirono a uccidere 78 personaggi di alto rango, tra i quali il giudice supremo della Repubblica, l'ayatollah Mohammed Beheshti, dieci ministri, oltre a 27 deputati. Intanto, sempre secondo le informazioni rese note dall'agenzia ufficiale iraniana, le forze di sicurezza sarebbero già passate alla controffensiva e avrebbero arrestato «un certo numero di persone sospettate di essere coinvolte nell'attentato». Poco prima, una telefonata anonima all'«Irna» aveva rivendicato a nome dei mujaheddin la paternità dell'esplosione. Definendosi loro portavoce, un anonimo interlocutore ha rivendicato la «piena responsabilità» del gesto e ha annunciato, sinistramente, «nuovi atti di sovversione per i prossimi giorni». Da Parigi, però, un portavoce ufficiale dei mujaheddin ha smentito recisamente qualsiasi coinvolgimento e ha condannato «fermamente» l'attentato, che - ha dichiarato - «è estraneo alla nostra attività politica e militare. «Gueste azioni criminali, che provocano morti e feriti innocenti - ha reso noto il portavoce - servono soltanto agli interessi del regime dei mullah al potere in Iran». Una ferma condanna è arrivata anche dal Consiglio nazionale della resistenza in Iran, una coalizione di gruppi dissidenti della quale fanno parte anche i mujaheddin del popolo. Vista la confusione seguita all'attentato, le informazioni certe sono ancora poche. Di certo, si sa che i fedeli erano arrivati in pellegrinaggio da ogni parte del Paese a Mashad - la seconda città dell'Iran dove esiste anche una forte concentrazione di profughi afghani - per celebrare nel cordoglio il giorno dell' «Ashura»: è l'anniversario del martirio del più santo esponente dello sciismo, Hussein. Hussein era figlio del califfo Ali Ibn Abi Talib, il cugino e genero di Maometto che molti consideravano suo erede designato. Egli non riuscì ad assumere la successione a causa dell'ostilità della vedova del Profeta, Aisha, e di altri due califfi che, pur sconfitti in uno scontro in campo aperto, lo fecero assassinare nel 661. Diciannove anni dopo anche Hussein fu massacrato assieme alla famiglia dalle truppe del califfo omayade Yazid. Gli sciiti, componente minoritaria ma oltranzista del mondo musulmano, traggono il loro nome appunto da «Shia» il «partito» di Ali e Hussein. Molti di loro erano arrivati a Mashad preceduti dal ritmo lugubre dei tamburi, infliggendosi ferite con catene e con armi da taglio in segno di penitenza. Subito dopo l'attentato, nella città è stato imposto il coprifuoco e i servizi segreti hanno cominciato a perquisire i negozi e le abitazioni in un raggio di quattro chilometri dal luogo dell'esplosione. Secondo fonti dell'opposizione, il massacro di ieri è solo l'ultimo e il più sanguinoso di una serie di azioni terroristiche costate quest'anno la morte di un'ottantina di persone in 12 città dell'Iran, azioni che hanno indotto il ministro per la Sicurezza di Teheran, Ali Fallahian, a denunciare l'esistenza di «una campagna di destabilizzazione nella quale sarebbero coinvolti i servizi segreti di Baghdad e un gruppo di esuli iracheni». La tragedia ha spinto anche la massima autorità iraniana, l'ayatollah Sayyed Ali Khamenei, a scendere in campo. In serata, durante una dichiarazione televisiva, ha tuonato contro i terroristi, dicendo che il massacro a Mashad è stato «un crimine bestiale» e ha quindi invitato le autorità «a consegnare quanto prima alla giustizia questi pipistrelli succhiasangue». Il governo di Teheran ha deciso di proclamare per oggi una giornata di cordoglio nazionale. [e. st.] Migliaia di fedeli si erano raccolti da tutto il Paese per le penitenze dell'«Ashura». L'organizzazione dissidente: «Un gesto barbaro, noi non c'entriamo» Un'immagine del mausoleo devastato e a sinistra Hashemi Rafsanjani [FOTO EPA]

Persone citate: Ali Fallahian, Ali Khamenei, Hashemi Rafsanjani, Profeta, Saddam Hussein