Ulster massacro nel pub dei Mondiali di Fabio Galvano

Cinque feriti nel locale frequentato da cattolici. Gruppo protestante rivendica la strage Cinque feriti nel locale frequentato da cattolici. Gruppo protestante rivendica la strage Ulster, massacro nel pub dei Mondiali Commando sbara sulla sente davanti alla tv: 6 morti LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La tragedia ha colpito mentre tutta l'Irlanda impazziva di gioia. Nel pub di O'Toole alzavano i boccali di Guinness alla bravura di McGrath, di Houghton e di Townsend, ebbri di felicità davanti alla televisione che riportava dall'America le immagini dell'Irlanda che senza pietà ridimensionava lo spauracchio italiano. Era il secondo tempo, avevano già capito che quella notte New York e mezza Irlanda sarebbero state uno sventolio di bandiere e di coccarde verdi. Erano felici nella loro passione calcistica e nazionalistica. Poi, in pochi attimi, il dramma, il ritorno alla dura realtà di una guerriglia che dura da un quarto di secolo. Due uomini mascherati hanno fatto irruzione nel pub, situato nel piccolo villaggio di Loughinisland a 50 chilometri da Belfast, e hanno aperto il fuoco con i loro fucili automatici Ak-47. Il bilancio è terribile, uno dei peggiori nei lunghi anni dell'Ulster insanguinato, il più grave di quest'anno. Sei morti, tutti cattolici, e cinque feriti dei quali uno è gravissimo. L'azione è già stata rivendicata dall'Uvf, l'Ulster Volunteer Force, una formazione clandestina che sventola la bandiera protestante e che è ormai impegnata al fianco dell'Uff in una guerra senza quartiere contro l'Ira dei repubblicani. E' stato il tentativo, forse, di dimostrare che l'efficienza militare non era stata danneggiata dall'arresto di uno dei capi, Laurence Maguire, condannato a 480 anni di carcere per cinque omicidi. Un comunicato afferma che nel pub era in corso «una riunione repubblicana», ma ieri sera fonti ufficiali di Belfast lo smentivano: da O'Toole, sabato sera, si parlava solo di calcio. In una guerra fatta di pretesti e di vendette, d'altra parte, la verità non ha grande importanza. Ha un bel parlare, il ministro per l'Irlanda del Nord Sir Patrick Mayhew, di «ferocia disumana»; o condannare lo «squal¬ lore morale di chi ha commesso questo gesto». La verità è che quella dell'Ulster è una guerra senza quartiere. L'insensata sparatoria nel pub di Hugh O'Toole - che era partito poche ore prima con altri sette volontari per ricostruire un orfanotrofio in Romania e che non sa ancora ciò che è accaduto nel suo locale - ha lo stesso marchio e le stesse modalità della sparatoria che nell'ottobre scorso uccise sette persone in un altro pub irlandese, il Rising Sun di Greysteel. Come allora, gli assassini si sono allontanati indisturbati, sull'auto guidata da un complice. Come allora, la polizia dell'Ulster promette che «si farà di tutto per portare i responsabili alla giustizia». Come allora tutti sanno che questa non è che una tappa della violenza senza fine che insanguina l'Ulster. Da New York, dove assisteva al trionfo dell'Eire sull'Italia, il primo mi¬ nistro irlandese Albert Reynolds ha parlato di «barbarie», di un attacco «del tutto incomprensibile»; e da Dublino il ministro degli Esteri Dick Spring si è detto «molto prossimo alla disperazione». Ma mentre l'Ulster continua a contare i suoi morti - sono ormai più di tremila - il processo di pace avviato lo scorso autunno con la «Dichiarazione di Londra» procede faticosamente fra reciproci sospetti e scoraggianti distinguo. Così muoiono uomini come Barney Green, un vecchietto di 87 anni che stava godendosi la partita con gli amici, la più anziana vittima in 25 anni di morte in Irlanda; o Eamonn Byrne, 39 anni, che lascia la moglie e quattro figli; o Patrick O'Hare, Malcolm Jenkinson, Daniel McCreanor, Adrian Rogan. Tutti nomi destinati, purtroppo, a scomparire nelle statistiche della violenza che la politica non è in grado di arrestare. Fabio Galvano Due immagini del pub di Loughinisland dove i terroristi protestanti hanno ucciso 6 persone