«Siamo in pochi gli infedeli disertano» di Irene Pivetti

«Siamo in pochi, gli infedeli disertano» «Siamo in pochi, gli infedeli disertano» Gli ultra del Carroccio: l'Eire ha battuto il Cavaliere LA KERMESSE LEGHISTA PONTIDA DAL NOSTHO INVIATO Quando il solo delle due sbianca il cielo italiano e il debole venticello federalista porta a spasso le ultime note del «Va' pensiero», anche la signora Luisa di Genova Pegli risale, con la sua bandiera, il pratone bruciato: «Chissenefrega poi... Eravamo pochi, ma buoni: ci voleva questo setaccio per portare via i marci della Lega. Era ora». Lei chiama «setaccio» la batosta elettorale. Chiama «marci» i traditori che hanno disertato. E chiama «pochi ma buoni» i 7-10 mila che come lei sono venuti ad ascoltare l'ultima omelia di Bossi, ad applaudire, imprecare, sognare. E a lasciarsi cuocere dal forno di questo giugno berlusconiano che ha trasformato la terra sacra di Pontida nella graticola del movimento. Via, si va. Sessantanove giorni fa, il 10 aprile, giorno del giuramento dei 180 parlamentari appena eletti, qui c'erano 40-50 mila entusiasti a bersi tutti i «Mai!» e tutti i «Noi!» gridati dall'Umberto. Ora quella folla si è rarefatta. Un vuoto che riverbera sul palco, dove adesso tra scorte e cravatte, anche l'unanimismo si è rotto e anziché il canto di una voce sola, si alzano il dissenso di Farassino, i malumori di Formentini, la critica di Rocchetta che spara accuse di verticismo a Bossi e un minuto dopo si prende del «raglio d'asino» dall'estremista Erminio Boso. Il sole schiaccia ed è nemico. Ma qui il sole si chiama Silvio Berlusconi, l'ossessione di tutti, con le sue «armate di manager», «i suoi soldi», .de sue tre tv». «Quello è una spugna, ci assorbe piano piano, non vede?», si lamenta un Giorgio di Mortara, Pavia, avvolto nel bandierone Dice: «Chi ha la vera fede federalista resterà con noi, ma chi ci ha seguito per interesse ha già tradito». E scuote la testa: «Me ne vado prima dell'ingorgo», dice, senza accorgersi del doppio senso. Un tale di Cittavemo, Bergamo, che di nome fa Privato e di mestiere il chirurgo, invece resta qui, tiene alto il suo cartello: «Eire batte Milan 1 a 0 - Allegria! - Abbiate FEDE - Il miracolo italiano continuerà». E a chi gli chiede spiegazioni, lui spiega: «Qui si fa confusione tra politica e spettacolo, tra calcio e politica. In questo casino uno solo ne guadagna, e quell'uno non siamo noi. Io dico che Bossi e Maroni dovrebbero sottrarsi a questo abbraccio col Berlusca, perché ci ammazzerà». Non è necessario essere veterani delle ultime apoteosi di Pontida, per accorgersi che questa volta i tamburi e l'urlo, la forza e l'ovazione, hanno una fiacchezza del tutto nuova. Di vecchio resta la rabbia, ed è in nome di questa rabbia che alle 12,45 le spalle popolane della Lega si stringono sotto al palco dove compare il samurai di Gemonio («Bos-si! Bos-si!»), issando i gonfaloni liguri, lombardi, piemontesi, le bandiere col guerriero e lo sberleffo in coro: «Ber-lu-sco-ni vaf-fan-cu-lo!». Lega di lotta e Lega di governo. Lega attacchina e Lega inquilina dei palazzi romani. Lega popolana e Lega alleata degli ex missini. La schizofrenia di questa onda che ha cambiato tutto, e adesso sta cambiando pure lei, è un colpo d'occhio sul pratone. A sinistra, sotto al tendone del vettovagliamento cuociono le salamoile e i tavoloni sono pieni di birra, taleggio, salame: «Roba che ai doppiopetti di Forza Italia andrebbe di traverso», dice quello della cassa, mentre gli cresce intorno la ressa dei dialetti: «Ostia, sbrigarsi laggiù!». «Dai, rnoves». «Alura!». E ai tavoli trovi le truppe della bergamasca, con le mogli in calzette bianche, e i mariti in bermuda. Trovi gli artigiani bresciani e i pensionati milanesi col borsello che ragionano pacati: «Berlusconi è un imprenditore-presidente, è pericoloso. Prenda la pulizia Rai: dove finisce il vantaggio della collettività e dove inizia l'interesse Fininvest?». Trovi, dietro al bancone del vino e delle birre, i deputati ruspanti e allegri, come la Simonetta Faverio o il Roberto Calderoli di Bergamo che dice dritto: «Il nostro è un gesto di umiltà, siamo al servizio dei nostri militanti, mica il contrario». Riempie un paio di boccali e attacca: «Quelli di Forza Italia non si abbasserebbero mai. Siamo diversi». Diversi come? «E' inutile spiegarlo, la gente capirà chi è Berlusconi...». E sorride: «Potrebbe anche essere il vecchio pentapartito, no?». Ma a destra (del pratone) è tutto un altro mondo. Ci sono le transenne, le sedie, le tv, e un'invasione di poliziotti, ricetrasmittenti, telefonini. Qui in meno di un'ora arrivano le Thema blindate dei ministri - Pa¬ gliarini, Gnutti, Speroni, Cornino, Maroni - arriva la rosa Pivetti che a momenti inciampa sull'erba, è emozionata sul serio e dal palco le viene fuori una voce ragazzina: «Ciao Pontida...». Ma poi scompare inghiottita dal tunnel blindato. Come Maroni, il ministro degli Interni, con il suo arrivo annunciato dagli elicotteri e dalle pantere sulla statale. Qui, dove è visibile la Lega di governo, e dove i militanti fanno gruppo, ma solo dietro ai cordoni dei poliziotti, c'è un parlare fitto di Roma e romanità. Qui arrivano deboli le ovazioni, o i fischi, c'è più lentezza, più tempo per sprofondarsi nella lettura dei giornali, come fa il Pagliarini. Qui si arriva e si va. Come il Formentini sindaco, che anche se sorride è arrabbiato assai con i cronisti e li attacca (come ha appena fatto Speroni) pure dal palco: «Sono troppi, pesano sull'erario», dice, e propalano falsità (specie sulla sua giunta). Formentini raccoglie applausi dal piatone, ma soprattutto qua, dietro le transenne, dove più di tutti applaude la bionda moglie. E poi insieme dileguano. Sugli scampoli delle ultime frasi di Bossi («Sono io il custode della Lega...») la gente; del pratone fa massa tra il tendone delle birre alla sua sinistra e le transenne di governo a destra. Recita un militante: «In Italia è crollato tutto, si è alzato il polverone, il nostro faro resta lui, Umberto». Ma subito ecco rispuntare l'ossessione: «Mi chiamo Luisa, sono di Varese e a Bossi direi: stai attento a Forza Italia». Un altro: «Scriva: io sono un attacchino di Treviso e dico che il partito unico, Berlusconi se lo deve scordare». Un altro: «Ohe, non siamo mica stupidi: lo sa lei che Canale 5 non ha nemmeno dato la notizia di Pontida? Ecco chi è il nostro alleato». «Zitti - dice un ragazzo - sta parlando Bossi». Ma no, ha finito, tocca alle note di Verdi. Passa con la sua bandiera la signora Luisa di Genova. Sulla strada il venditore di panini guarda sbalordito la festa che è già finita: «Ho ancora tutti i panini da vendere. Dove vanno adesso?...». E chi lo sa. Pino Corrias Sul palco dei ministri non si parla più lumbard In alto: a sin. Bossi con Maroni, a ds. Speroni A sin. Pagliarini. Qui sopra Irene Pivetti