Se il mostro fa l'artista di Lorenzo Mondo
le mir PANEALPANE Se il «mostro» fa l'artista E' qualcosa di assolutamente singolare nel processo a Pacciani che si svolge davanti alla corte d'assise di Firenze. Non mi riferisco ovviamente all'efferatezza dei delitti che gli vengono attribuiti dall'accusa, alla furia omicida scatenata dal voyeurismo. Purtroppo è già accaduto altre volte, anche se qui sgomenta l'alto numero delle giovani vittime. Colpisce un poco di più la scoperta - attraverso le deposizioni dei testimoni - di un lembo di Toscana agreste, buia e ferina, che sa utilizzare della cultura urbana soprattutto i ritrovati della pornografia. Ma sappiamo bene che la Toscana non si risolve tutta nei limpidi teoremi rinascimentali, nei fragranti idilli macchiaioli, nelle stornellate sentimentali. Appassiona invece l'astuzia con cui l'assassino ha saputo cancellare o confondere le tracce. E incuriosiscono, su questo sfondo enigmatico, certi pretesti marginali con cui l'accusa e la difesa cercano di forzare un processo indiziario, di riequilibrare il peso di contrastanti rivelazioni e colpi di scena: puntando sulla personalità dell'imputato, che alterna rabbia e lamento, cerimoniosità e sboccatezze. Si tratta di far prevalere l'immagine del. «poveromo» sfortunato o del cinghialone senza freni, di montare o smontare l'ipotesi di un improbàbile Jekyll del Mugello. Il bello è che, forse suggestionati dai cascami della toscanità, di una nativa propensione all'arte, si fa appello a documenti che appartengono, sia pure all'infimo grado - e mi si perdoni il bisticcio - a un ordine superiore. Non si è creata forse in tempi più ingenui dei nostri la leggenda di un Giotto pecoraio? Ha cominciato l'accusa, esibendo un disegno truculento e falloforico attribuito a Pacciani. Mentre lui si era limitato a comprarlo e ad arricchirlo con personali varianti, era l'opera di un pittore sudamericano dal gusto discutibile ma che non aveva mai ir fatto strage di coppiette. Dall'altra parte, si è risposto con quello che viene definito un «romanzo» di Pacciani e che è invece il racconto, sgrammaticato ma non privo di piglio vernacolare, della sua vita. La spietatezza dell'infanzia in una campagna immobile, le pause sonnacchiose della scuola di catechismo, le partite a carte e il vinsanto, l'esercizio precoce del sesso lungo un fossato, la scia di sangue lasciata dalla guerra... Ma è chiaro che, con queste risorse da scuola positivistica aggiornata sulla psicoanalisi volgare, non si va lontano. Non si arriverebbe neanche a individuare in Pacciani l'assassino di un rivale in sesso, il padre violento e stupratore: che sono fatti acquisiti per testimonianze irrefutabili e sentenza di tribunale, e che bastano da soli, nell'opinione comune, a qualificarlo «mostro». E' indubbio che le tinte forti della vicenda e dei luoghi, l'aura da «horrorfilm» possono suscitare ambizioni scrittone, tant'è. che abbiamo v^sto alle udienze Uri autore americano di bestseller. Buon prò gli faccia. Ma con questo si rimane all'esterno, al piano dello spettacolo e delle emozioni soggettive. Per la soluzione del caso servono prove, o almeno indizi consistenti e convergenti, conta la elusiva concretezza dei bossoli, di una agenda sbiadita, di un'auto scassata. E magari la rinuncia di qualcuno all'omertà. Inutile rifarsi ai «romanzi» e, chissamai, alla pratica della fisarmonica o del mandolino per inchiodare Pacciani a una catena di delitti. E' tempo perso e, appunto, cattiva letteratura. Lorenzo Mondo u
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