«Beautiful» diventerà italiano di O. G.

Lo sceneggiatore del serial rivela: a settembre un episodio a Roma e Sorrento Lo sceneggiatore del serial rivela: a settembre un episodio a Roma e Sorrento «Beautiful» diventerà italiano Negli Usa, Ridge e soci non hanno sfondato «Adesso siamo più interessati ai mercati esteri» Suggestivo evento di Ferrerò e Castello L'epopea del fuoco non teme i temporali Cento attori e ballerini a Stupinigi concludono «Identità e differenza» LOS ANGELES. Il successo di «Beautiful» non accenna a diminuire: anzi. Il serial americano va in onda sia su Raidue (con i vecchi episodi) sia sulle reti Fininvest: e oggi c'è il passaggio da Retequattro a Canale 5, in prima serata. Per tutta l'estate l'ammiraglia del Biscione trasmetterà «Beautiful» dal lunedì al venerdì alle 13,35, e il venerdì sera alle 20,40. Eppure, se dite nominate Ronn Moss, o Susan Flannery o John McCook negli Stati Uniti, pochi americani sapranno di chi state parlando. Ma provate a ripetere questi nomi in India, in Danimarca o in Afghanistan e subito, con ammirazione, milioni di persone esclameranno: «Beautiful». Anzi, come chiamano la serie in quelli e negli altri 85 Paesi dove spesso risulta la numero uno negli indici di ascolto, «The bold and the beautiful». In Italia, poi, più che un successo televisivo «Beautiful» è diventato un fenomeno di culto, con le sue ramificazioni politiche. Quando la Fininvest portò via la serie a Rai 2, il passaggio segnò più di ogni altro episodio la crisi della televisione di Stato. Si pensava che gli spettatori di «Beautiful», come accade un po' con tutte le soapoperas, si sarebbero stancati. Ma mentre si appresta a celebrare l'episodio numero mille, il successo della serie continua. Da un paio di stagioni il feudo tra i Forrester e gli Spectra, le due dinastie del mondo della moda protagoniste di «Beautiful» è stato condito di temi sociali. Si parla di Aids, di senzacasa, di violenza sui bambini, di molestie sessuali. Ma ciò che tiene assieme lo show sono i flirts, i tradimenti, i terzi matrimoni, i triangoli, gli incroci incestuosi di Ridge, Felicia, Stephanie, Sally e compagnia. Sono gli elementi di tante soapoperas. Ma questa, a differenza di altre, continua a crescere e prosperare. Come si spiega? Lo abbiamo chiesto a Bradley Bell, produttore e responsabile degli sceneggiatori di «Beautiful». Negli Stati Uniti il genere soap-opera è un po' in declino, ma all'estero il culto A sinistra, Ron Moss (Ridge); sotto, Darlene Conley (Sally Spectra) Qui a fianco, l'attrice Schae Harrison che interpreta, nel serial, il ruolo della bionda Maria Non le capita mai di dire basta, di non riuscire più a trovare spunti per andare avanti? «A volte è difficile. Ma poi pensiamo ai nostri personaggi e le idee vengono. Ormai sono talmente ben definiti che sappiamo bene come reagirebbero di fronte a qualunque evento. Ci aiuta molto anche la realtà, la lettura dei giornali, l'attenzione a quello che accade nel mondo accanto a noi». Veramente, la serie sembra avere assunto un tono sempre più da soap-opera, con i soliti triangoli, tradimenti, segreti... «Ma quella è stata una fase e del resto non possiamo allontanarci molto da questa formula. Tradiremmo il nostro pubblico. Ma garantisco che ci saranno grandi sorprese». Dopo tanti anni di lavoro assieme, che tipo di relazione avete quando siete sui set? «Siamo diventati un po' come una famiglia. Tra gli attori, le segretarie, i costumisti, i truccatori si sono create delle amicizie molto strette. E, naturalmente, abbiamo la nostra dose di pettegolezzi, di strani movimenti dentro e fuori dai camerini. Diciamo che abbiamo la nostra soap-opera dentro la soap-opera». TORINO. Intirizziti e fradici di pioggia, abbiamo assistito sabato notte al «Teatro del fuoco» che Richi Ferrerò e Roberto Castello hanno allestito nel parco della Palazzina di Caccia di Stupinigi per festeggiare i 300 anni del Comune di Nichelino e per siglare, in una bella atmosfera popolare, la prechiusura della rassegna «Identità e differenza». Spettacolo immenso, sviluppato su una superficie che l'occhio non riusciva a contenere, un centinaio di figuranti, prodigi ed effetti speciali per raccontare il più prezioso e il più micidiale bene dell'umanità: il fuoco. Non come epopea in atto, ma come ricordo d'un ricordo, da riproporre ai cortigiani sistemati sulla scalinata della palazzina: manichini in livrea, dame candide, valletti. Si comincia dal fulmine, ovviamente. Brilla una saetta e un albero s'incendia. Il fenomeno non c'impressiona, ma nei nostri progenitori l'evento creava effetti conturbanti, suscitava spaventi. Quali esorcismi avrebbero potuto placare gli dei corrucciati? Il Balletto Nazionale della Costa d'Avorio sembra fatto apposta per cancellare i millenni e trasportarci, con la forza tribale delle sue danze, all'origine dei secoli, quando alla natura veniva attribuita un'anima. Nella penombra delle fiaccole e dei crateri i danzatori sfilano timorosi, s'aggregano, erompono in coreografie frenetiche che i tamburi ritmano implacabili. Il fuoco appare conquistato. E comincia il suo uso: prima sacro e poi guerresco. Le vestali lo custodiscono, ne fanno un bene simbolico; i guerrieri lo trasformano in un mezzo distruttivo. E qui prende vita il momento più spettacolare della serata. Il fuoco diventa elemento espressivo e drammaticamente evocativo. Con l'aiuto di gigantesche ruspe, Ferrerò crea quadri e movimenti che riproducono incendi di città, pire gigantesche, tripodi enormi: il fuoco s'innalza, scende in colate d'argento, s'espande implacabile. Finché, da elemento di morte, si trasforma in artificio decorativo. Siamo in epoca barocca. Sostenuta da trilli di violini, la fiamma s'ingentilisce in puro gioco cromatico; spinta in cielo, ne ridiscende nelle forme più variate, imprevedibili, stupefacenti. Se il pubblico, che ha sopportato impavido pioggia e vento, ha applaudito con soddisfazione i vari momenti dello spettacolo, su questo finale pirotecnico è andato letteralmente in estasi e ha salutato la performance con un entusiasmo da stadio. Eppur pioveva. Figuriamoci se fosse stata una chiara notte di luna. [o. g.]