Liceo classico l'ultima battaglia di Giorgio Calcagno

il caso. Un progetto di legge lo vuole cancellare, la destra insorge. E la sinistra? il caso. Un progetto di legge lo vuole cancellare, la destra insorge. E la sinistra? Liceo classico, l'ultima battaglia Tutti gli ex lo rimpiangono, chi lo contestò ora ci manda i figli w|L vecchio liceo trova nuovi 1 amici, prevedibili ma an| che imprevisti, proprio nel 1 momento in cui rischia di ■^■1 affondare. Mentre sale sul carro vincente la tecnocrazia dell'immagine, qualcuno ricorda, in controtendenza, la tradizione di una cultura fondata sulla parola scritta. Le posizioni si incrociano, e qualche volta si confondono. Alla Camera giace un disegno di legge, già approvato al Senato, per mettere il liceo in pensione. Da destra L'Italia settimanale lancia una raccolta di firme contro il progetto; la sinistra, al momento, tace. Al di là delle scelte ideologiche, il liceo è stato una parte non secondaria della nostra vita: costume, luogo di conoscenza, tradizione, mito. «Compagno di liceo» significa un segno di identità sicuro, passaporto di amicizia, anche a distanza di decenni. In molte città italiane, ancora oggi, si trovano in incontri conviviali gli «ex», divisi da tutto, tranne che da quei tre anni passati insieme, nel periodo decisivo della vita. Umberto Eco diserta incontri internazionali, rifiuta le lauree honoris causa, ma alla cena della sua terza liceo in Alessandria cerca, quando può, di esserci. Al Tasso di Roma, dove è passata una gran parte della nostra classe dirigente, hanno festeggiato il centenario nel 1988 con un documentario televisivo a cura di due ex alunni, Paola Decina e Citto Maselli, che presentava uno straordinario olimpo di personaggi: da Enrico Fermi a Andreotti, da Stille a Malagodi a La Malfa. E si ricordano ancora le grandi amicizie: Gassman e Squarzina, Romiti e Schimberni, Giorgio Amendola e Ruggero Zangrandi, Sandro Curzi e Citto Maselli, che sedicenni distribuivano volantini nella Roma occupata dai nazisti. Il pensiero di tutti va alla Miss del Tasso, che aveva fatto sognare intere classi liceali, Luciana Castellina. Ci sono terze liceo dove la concentrazione di vip intellettuali è altissima. All'Umberto I di Napoli, nelle due sezioni A e B studiavano Ribellione nel nome di Rocco Solidarietà è una parola che oggi costa poco o niente. Nonostante ciò temo che saranno ben pochi quelli che offriranno un po' di solidarietà ai ragazzi di Grugliasco che hanno voluto difendere il loro amico dall'espianto degli organi. Hanno rifiutato la «statistica» e hanno continuato a sperare. Purtroppo la vita di quelle persone che, come era Rocco, sono in uno stato di coma ritenuto irreversibile, viene rispettata e protetta solo da coloro che la amano. Per gli altri sono esseri inutili, la cui unica possibilità di riscatto sta nel regalare i propri organi a qualcuno, perfetti capri espiatori per i nostri sensi di colpa, per il nostro altruismo ipocrita. Eppure la «morte cerebrale» rimano un'ipotesi, scientificamente controversa, chiaramente finalizzata al saccheggio di corpi ancora vivi. Pochi osano opporsi all'egemonia di questa cultura pseudo-progressista. Chi lo fa viene additato alla pubblica riprovazione o invitato, come si addice a un regime «democratico», a fare autocritica. Così, in modo infame, alcuni giornalisti hanno spinto i familiari di Rocco a un'ammissione di colpa. Evidentemente dovevano abbandonare il figlio ai medici-demiurghi e riconoscere, tra il compiacimento generale, che un ragazzo in fin di vita è solo «roba», merce da riciclare. Per alcuni vi sono «necessità sociali» che sembrano giustificare anche gli esperimenti condotti usando come cavie detenuti, ritardati mentali o soggetti appartenenti a minoranze etniche (come si apprende dagli Stati Uniti). Alla maggior parte della gente può apparire relativamente legittimo togliere il cuore ancora pulsante di una persona in coma per cercare di prolungare la vita a un altro. Forse è questa l'etica che si affermerà sempre più in futuro. Ma i ragazzi di Grugliasco si sono ribellati e in ciò, spero, non saranno lasciati soli. Livio Cade insieme, prima della guerra, Giorgio Napolitano, Francesco Compagna, Francesco Rosi, Peppino Patroni Griffi, Antonio Ghirelli e Raffaele La Capria. Non si sono persi mai di vista, anche dopo che avevano tutti lasciato Napoli. E difendono ancora oggi quegli studi. «Io sono stato fortunato - dice La Capria - perché ho avuto buoni professori e buoni compagni. Il preside era un crociano, sotto sot¬ LETTERE AL GIORN to antifascista e questo era già galvanizzante». Ma non c'erano solo le lezioni dalla cattedra, per quei giovani. «Il liceo per noi è stato formativo sul serio, perché noi imparavamo più dalle chiacchiere fra noi, fuori della scuola, che dal programma scolastico. I ragazzi imparano dagli altri ragazzi». Liliana Cavani ritrova quando può le sue compagne del liceo Muratori di Modena, oggi tutte inse¬ E i giovani degli Anni 60, che protestavano contro l'autoritarismo della scuola? Quei giovani hanno 45 anni, ripensano al movimento di allora. Marco De Poh, oggi regista cinematografico, è stato il protagonista della più clamorosa polemica liceale a Milano, nel 1966. Era il direttore della Zanzara, il giornale studentesco del Parini, mandato sotto processo per una inchiesta sulla sessualità giovanile. «Non abbiamo voluto creare noi quel caso - dice -. Noi ci siamo trovati a scuola nel momento in cui esplodevano le contraddizioni fra il liceo nato dalla riforma Gentile 40 anni prima e le esigenze della società, soprattutto dai giovani». E loro, ovviamente, rappresentavano quelle esigenze. «Io allora ero fortemente critico. Noi non mettevamo in discussione gli studi, ma l'autoritarismo dei professori. Poi è successo quello che è successo; e dopo 27 anni ci ritroviamo allo stesso punto». Ma non rifiuta il liceo. «Oggi mio figlio ha finito la quinta ginnasio e ha scelto il liceo classico anche lui. Anzi, lo abbiamo scelto insieme. In questo pressapochismo culturale che domina in Italia, il liceo classico, pur avendo strutture vecchie, dà valori universali. Io ritengo che studiare latino e greco sia formativo, per la formazione della personalità. Costa molto sforzo, ma è bene imparare a scoprire la fatica, perché nella società ci vuole fatica». Qualcuno non è d'accordo. Lo scrittore Domenico Starnone il liceo lo ha conosciuto dalle due parti della barricata: studente a Napoli, docente in Lucania; e non ricorda volentieri quelle esperienze. «No - dice -, non credo che quel liceo si possa difendere. Difendo la cultura classica, non il suo uso scolastico vessatorio per tormentare i ragazzi». Lui non ha rimpianti. Ma nemmeno troppa fiducia nel nuovo. «Si modernizza, e si finisce col lasciare in piedi il peggio della vecchia scuola». E sul timore di questa nebulosa modernità sembrano consentire tutti. rite nelle professioni: con docenti universitarie, una sovrintendente, una dottoressa. Il liceo classico lei lo difende senza incertezze: «Per me è stato fondamentale. Il Muratori era una scuola severa, con insegnanti seri, ci impegnavano molto: al punto che quando io ho voluto saltare un anno, dopo la seconda, l'esame di maturità mi è parso facilissimo». No, non vuole che si rinunci al liceo. «Può sem¬ brare segno di una mentalità conservatrice, non mi importa. Conservare le radici della nostra cultura è fondamentale. Io non ho mai utilizzato il certificato di liceo, né la laurea, perché ho fatto altro. Ma ripeterei lo stesso itinerario. Lo ritengo fondamentale anche per il mio mestiere: perché solo lì ho potuto conoscere la drammaturgia greca, la filosofia, il diritto romano». Qui a fianco lo scrittore Domenico Starnone, a sinistra Raffaele La Capria In basso Marco De Poli, oggi regista, ai tempi in cui dirigeva «La Zanzara» ALE Giorgio Calcagno