la dogana di Napoli chiusa per tangenti di Alberto Gaino
Vertici decapitati: 50 dirigenti in cella Vertici decapitati: 50 dirigenti in cella la dogana di Napoli chiusa per tangenti NAPOLI. La dogana è bloccata, azzerata nel suo vertice da una raffica di arresti. E oggi è molto probabile che non riesca ad aprire. E' l'ultima puntata della tangentopoli sotto il Vesuvio. E a scriverla sono due magistrati venuti da Torino: il gip Silvana Podda e il pm Alberto Perduca. Si deve allo loro maxi-inchiesta (con gli ultimi sedici di ieri, già più di 50 sono gli arrestati, e gli indagati superano quota cento) sullo scandalo delle frattaglie esportate come filetti per ottenere un'autentica cascata di premi Cee: più di cinquanta miliardi. Ad intascarli erano stati - fra l'inizio del 1992 e metà '93 - l'industriale torinese della carne Felice Blangino e i figli Luca e Oscar. Per riuscirvi avevano corrotto a mani basse un mucchio di funzionari pubblici, compreso un dirigente del Sismi (arrestato e subito sospeso dal servizio). Miliardi di tangenti in ogni direzione. Compresa quella del porto di Napoli, dove qualche tempo fa erano già stati ammanettati i titolari di una nota impresa di importexport, considerati gli intermediari per far chiudere entrambi gli occhi ai dirigenti della dogana. E ieri la Guardia di Finanza ha fatto piazza pulita arrestando Bruno Oranges, il capo dipartimento della dogana di Napoli; Pietro Laudisio, il ricevitore capo; i funzionari Fulvio Fidale, Luciano Sardelli, Luigi Vitiello, Fulvio Errico, Antonio Telese, Antonio Gaudino, Antonio Del Pozzo, Antonio Di Micco, Amedeo Iacomino, Nicola Lanzano, Luigi Affinito, Salvatore Cian- ciulli, Domenico Federico e Francesco Fiengo. Il blitz era statr accuratamente preparato dagli uomini del gruppo repressione frodi delle «fiamme gialle» di Torino e con la collaborazione dei colleghi napoletani sta proseguendo in queste ore, con la caccia ad alcuni latitanti. Dal porto di Napoli salpavano le navi con i carichi di filetti «sulla carta» per l'esportazione di qualità premiata con i contributi Cee. Nei freezer solo frattaglie destinate ai Paesi mediorientali e del Centro Africa. I doganieri di Egitto e Gabon avevano controllato i carichi e rispedito al mittente la carne: faceva schifo. Per quelli di Napoli, invece, tutto era sempre regolare. Le navi andavano soprattutto su e giù dal golfo partenopeo a Malta, dove aveva sede una società off-shore dei Blangino. A metà degli Anni Ottanta gli industriali torinesi avevano aperto con lauti contributi pubblici uno stabilimento di macellazione a Pignataro Maggiore, in provincia di Caserta e là, alla Linea Meat, facevano lavorare la carne importata dai Paesi dell'Europa Orientale. Ufficialmente destinata all'Africa, in realtà riciclata in Italia come filetto nostrano. Un intrico di truffe e raggiri a non finire, in cui la camorra si era ritagliata la sua parte mettendo le mani sulla protezione dell'azienda e sulla fornitura dei bovini locali, al prezzo deciso dalle cosche. L'unica vera tassa che i Blangino pagavano. Alberto Gaino
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