«E' lui il killer di mio fratello»
Agrigento, la ragazza è costretta a vivere protetta come i pentiti Agrigento, la ragazza è costretta a vivere protetta come i pentiti «E' lui il killer di mio fratello» A 20 anni riconosce anche i complici AGRIGENTO. «Sono loro, sì, gli assassini sono loro». Senza esitazioni né un filo di paura, Liliana Burgio, 20 anni, studentessa, ieri mattina ha accusato i tre imputati dell'uccisione del fratello Raffaele, 27 anni, un piccolo pregiudicato assassinato in un agguato a Ravanusa, il loro paese, il 19 ottobre 1991. Liliana quel pomeriggio stava facendo i compiti. Si affacciò alla finestra e, paralizzata dal terrore, assistette al delitto. Vide uno dei killer sparare al fratello sotto casa e inseguirlo nell'alloggio di una vicina. Qui Raffaele, ferito, aveva cercato riparo. Ma il killer lo scovò e lo uccise. L'omicida salì quindi sull'auto con due complici che l'attendevano, pronti alla fuga. L'agghiacciante resoconto Liliana l'ha fatto nell'aula della Corte d'Assise di Agrigento. Ha deposto per tre ore, lasciando ben poco spazio perlomeno a uno dei tre, quello che sostiene di aver visto bene e riconosciuto, Vito Di Caro, 26 anni, emigrato a Colonia dove lavorava in una fabbrica, che sarebbe dunque stato l'esecutore materiale. Uno dei tanti killer - afferma l'accusa - ingaggiati dalla mafia fra i «pendolari» del crimine. I presunti complici sono Calogero, 31 anni, fratello di Vito Di Caro, e Lillo Giuseppe Antona, 28 anni. Più tardi, durante l'udienza, le accuse sono state rinnovate da Peppino Burgio, 23 anni, altro fratello della vittima. Il giovane ha sostanzialmente confermato il contesto in cui l'omicidio ma- Liliana Burgio, 20 anni, nascosta da alcuni agenti durante la deposizione resa ieri in aula ad Agrigento per l'intera durata dell'interrogatorio Liliana è rimasta seduta in una poltroncina sul pretorio davanti alla corte, coperta da quattro poliziotti dei servizi antimafia. Analogo trattamento è stato usato al fratello, come già per i pentiti Tommaso Buscetta, Totuccio Contorno e tutti gli altri durante le loro deposizioni nelle aule bunker di Palermo o Catania. Liliana non ha mostrato cedimenti. E' stata implacabile. Le sue parole sembrano inchiodare Vito Di Caro, ma anche per gli altri due le accuse sono pesanti. Una testimone oculare puntuale nella versione del fatto, che ha ricostruito come in un tragico filmato. Il fronte degli imputati, comunque, potrebbe incrinarsi: Calogero Di Caro, infatti, starebbe per pentirsi e avrebbe cominciato a rendere alcune dichiarazioni. turò, dando forza agli addebiti mossi precedentemente dalla sorella con la quale divide l'esilio forzato dalla Sicilia, imposto dalla Dna, la Direzione nazionale antimafia. Dopo le sue prime gravi dichiarazioni su Vito Di Caro e sugli altri due - piccoli pregiudicati anche loro - Liliana fece capire di voler andare sino in fondo. Già il 15 febbraio 1992, a quattro mesi dall'agguato, la studentessa che aveva allora 17 anni cominciò a fare alcune rivelazioni sulle quali insistette poi il 4 maggio 1992, quando disse tutto ai giudici antimafia. Da allora Liliana è stata sottoposta a particolari misure di sorveglianza, inclusa nello stesso «programma speciale» riservato ai pentiti ed è stata fatta allontanare dall'isola. Stesso trattamento, come detto, riservato al fratello. Per questo motivo, per non renderla facilmente riconoscibile, ieri Antonio Pavida
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