Evasione-beffa pagano in dieci di Francesco Grignetti

Padova, sospesi il direttore del carcere, il comandante delle guardie e gli agenti Padova, sospesi il direttore del carcere, il comandante delle guardie e gli agenti Evasione-beffa, pagano in dieci Sono accusati di mancanza di zelo e di scarso coraggio La Parenti: attacco al governo, cercate in alto i colpevoli ROMA. Dovevano costruire 27 opere in un triennio: ne realizzeranno 14 in 12 anni. Non è un nuovo scandalo tipo «carceri d'oro», ma il consigliere della Corte dei conti Pietro De Franciscis, che ha stilato il referto sullo stato di attuazione del programma straordinario di edilizia penitenziaria, è lo stesso che si è occupato della vicenda in cui furono coinvolti gli ex ministri delio Darida e Franco Nicolazzi. Il magistrato contabile spiega che la legge finanziaria 1985 aveva stanziato 530 miliardi: la progettazione ed esecuzione delle opere fu affidata alla Edil. Pro., società dell'ex gruppo Italstat, impegnando 480 miliardi e destinando i rimanenti 50 ai provveditorati regionali alle opere pubbliche per ristrutturazioni e adattamenti in edifici carcerari preesistenti. Il paradosso è - rileva la Corte dei conti - che è rimasto invariato l'importo presunto della concessione, nonostante siano state stralciate 9 opere. [Asca] persone degne di stima. Ma il problema non sono le persone, quanto le cariche. Facciamo veramente come in America, che quando s'insedia una nuova amministrazione cambiano tutti gli esercizi del potere, E poi qualcuno si troverà pure, all'altezza, per gli avvicendamenti. Non è necessario che siano aquile. Purché siano onesti». Titti Parenti, infatti, a questo proposito, non esclude nulla. Nemmeno l'infedeltà dei funzionari. «Più che un sospetto - spiega - è una conseguenza inevitabile. Le strutture portanti di un sistema, condannato nelle aule di giustizia, sono A questo Parisi, insoml ma, che tipo è? Dagli archivi di stampa non si ricava nulla di illuminante. E' certamente un uomo che incuriosisce, anzi affascinante anche perché è difficilissimo definirlo al di là delle notizie ufficiali e delle interviste su questioni di dettaglio. Il 23 gennaio scorso ha compiuto otto anni al comando della polizia, ed è un record. Prima di questo affaraccio insultante e frustrante dell'evasione annunciata per fax, comunicati stampa, avvisi e dispacci, non gli era mai accaduto quel che gli successo due giorni fa (anche se ha «messo a disposizione» più d'una volta la sua carica): e cioè che i ministri di un governo nel pieno delle sue funzioni e del suo vigore ne chiedessero la testa all'istante. Il più duro è stato Giuliano Ferrara, che venendo dal giornalismo di forte schieramento e sentendosi il titolare dell'immagine del governo, ha reagito in modo sferzante. Del resto, sarebbe regola ferrea delle democrazie, sottratta alle delicatezze dei sentimenti, quella per cui, in caso di sconfitte brucianti di ogni apparato chiamato a proteggere lo Stato, paghi all'istante e con la sua testa chi ha la responsabilità di comando del corpo o servizio. E forse Ferrara con la sua richiesta voleva proprio ripristinare quel principio che durante il passato cinquantennio è stato portato alla consistenza del chewing-gum. Ma la levata di scudi è rientrata, e la sorte del capo della polizia è stata decisa con un vertice inconsueto proprio al Quirinale, alla presenza del capo del governo e del ministro degli Interni. Ignoriamo del tutto, non avendo competenza né strumenti, se e quali addebiti possano essere concretamente mossi al capo della polizia. Sta di fatto però che a trarlo dalla tempesta è stato lo stesso Capo dello Stato che otto anni fa lo chiamò al comando della polizia, mentre era ministro degli Interni. Anzi, vale la pena notare che questo superpoliziotto, pigramente paragonato a Nero Wolfe (l'investigatore delle orchidee), a Marlowe l'eroe di Chandler (ma è Parisi stes- carceraria e c'è l'evasione di Padova. Ebbene io non credo al caso, come spiegazione. Né credo al lassismo». Inutile dire che al ministero di Grazia e Giustizia l'uscita della Parenti non se l'aspettavano proprio. La prendono come una coltellata alla schiena o quasi. «Quello che proprie non si può dire - protesta Mario Borghezio - è che abbiamo fatto volare soltanto gli stracci. In fondo abbiamo sospeso il direttore del carcere». E restano presi in contropiede anche al ministero dell'Interno. Il ministro leghista Roberto Maroni aveva difeso a spada tratta, nei giorni scorsi, il «suo» capo della polizia. E ancora ieri il sottosegretario Maurizio Gasparri, esponente di An, giurava: «Parisi non si tocca. Almeno, non per questo episodio. E' stato lui, anzi, l'autore delle segnalazioni. Il suo compito era quello di mettere in guardia e non può essere accusato di niente per questo. Magari la funzione di segnalazione funzionasse sempre come ha funzionato questa volta». Ma naturalmente nel varco aperto tra le fila della maggioranza si sono fiondati in tanti dell'opposizione. Rosy Bindi si è complimentata in un corridoio con Titti Parenti: «Vivaddio ha fatto un intervento politico! Anche se non sono d'accordo sulle sue dietrologie, ha avuto il merito di parlar chiaro. Il governo, invece, dov'era? I ministri non hanno saputo far di meglio che litigare tra loro e giocare allo scarico di responsabilità». E Luciano Violante: «Non credo affatto all'idea del complotto. Se ci fosse stato, i ministri si sarebbero coalizzati nel denunciarlo, invece di mettersi a litigare per spartirsi le responsabilità». CORTE DEI CONTA Francesco Grignetti

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