Vitale lascia Palazzo Marino di Guido Ceronetti
Il «super assessore» economico garantisce: non vado all'In Il «super assessore» economico garantisce: non vado all'In Vitale lascia Palazzo Marino Formentini: nessun contrasto politico MILANO. Un anno dopo, Marco Vitale se ne va. E Marco Formentini, il primo sindaco della Lega a palazzo Marino, perde il suo superassessore all'economia, consulente d'azienda, docente universitario, editorialista raffinato, uomo di studi e d'azione. Qualcosa di più di un fiore all'occhiello. Ed è addio vero, per lettera, dieci righe che iniziano con un «Caro Formentini» e finiscono «con rinnovata stima». All'apparenza, separazione consensuale. Formentini: «Conoscevo la sua decisione da qualche mese, so che è dovuta unicamente a un diverso impegno, ha avuto la cortesia di aspettare le elezioni per non suscitare illazioni». Vitale: «Qualcuno cercherà di strumentalizzare le dimissioni collegandole alle elezioni, non è così, la decisione era da tempo in maturazione». Parole al miele. Ma si sa, tra Formentini e Vitale la stima è sempre stata reciproca. Già, perché quel bresciano di 59 anni da trenta a Milano, burbero quanto basta ma bravo come pochi a studiare e a realizzare progetti, era veramente il colpo da maestro di Formentini. Aveva faticato a convincerlo, ma poi il grande borghese, pur ribadendo che lui leghista non era, si era detto pronto a rimettere in moto Milano e il suo motore bloccato da Tangentopoli. Bei tempi, quei primi mesi della giunta. Tanti progetti e il capolavoro del primo bilancio ricco di utili e investimenti. E poi? Poi i dissapori, il ripetersi di candidature: Vitale alla Cariplo, Vitale a fare il ministro. Vitale alla Rai. Vitale al posto di Prodi all'Iri. «No, non ho lasciato Formentini per Tiri», giura adesso Vitale: «L'Iri è da liquidare, io non sono un liquidatore». Niente Iri. Ma basta con palazzo Marino: lì il feeling con i leghisti si è proprio rotto. Non con Formentini, ma con quelli che l'hanno criticato sì: compresi Negri, il segretario che ieri diceva «nessuno è insostituibile», e Bossi che sotto sotto l'ha sempre malsopportato. Certo, molto ha pesato l'ultima polemica sulla Galleria: «Interessi forti, mafiosi, vo¬ gliono impadronirsene», aveva denunciato e due superleghiste doc, Elena Gazzola e Angela Santelli, l'avevano bacchettato: «Ma cosa dice?». Fine del rapporto. «Sono come un militare, il mio servizio è finito», ammette adesso Vitale. Formentini incassa. «Ho già in mente il successore, non ci saranno problemi per la giunta», anticipa. Attenzione: successore, perché sostituire un Vitale sarà impossibile. [a. ?..] NOSTALGIA DEL CORTILE Cartagine Annibale si preoccupava di Roma non della Roma, in America Alce Nero ignorava disumanamente Maradona. Era fatale che un partito che è un grido di stadio riuscisse, in novanta minuti di gioco, a gettare fuori campo, a girotondare in una Danza Maccabea, le divisioni dello Scudo Crociato e la potente armata della Quercia. Finiti... Più forte delle trombe di Gerico il grido «Forza Italia»! Ma c'è davvero del nuovo sotto il sole? Il giorno che il calcio tornerà ad essere un gioco da cortile di preti dirò il Messia è venuto, questa è un'altra repubblica italiana. degli Esteri, in missione planetaria, passavano la domenica in ambasciata, collegati via radio col «Calcio minuto per minuto»; mai un presidente del Consiglio nato dalla Resistenza privo di «squadra del cuore», mai un'intervista con un Personaggio da cui fosse assente un pensiero squadrofilo, una trepidazione scudettista... - Erano così anche i Cesari... Sì sì, anche loro. Non facevano che tifare, quei sifilitici. Circenses, ancora ancora... Ma non c'era la radio, la tele, l'inserto, il titolo, il clacson, chi stava a Tivoli riusciva a non sapere eh: avesse vinto, in Britannia c a Sagunto si poteva allattare senza palla tra i pali, a Guido Ceronetti
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