NOMI E COGNOMI

r r NOMI E COGNOME 1 «Dare soldi, vedere cammello» Siamo in Italia o a Marrakech? ON si sa mai quanto costeranno gli oggetti, né essi hanno infilzati i cartellini dei prezzi, né i prezzi sono fissi»: Elias Canetti diceva così ne «Le voci di Marrakech», e Mario Colombo, commissario dell'Inps, l'ha spesso opportunamente citato per descrivere il souk pensionistico italiano, travolto vieppiù dal marasma seguito alla recente sentenza della Corte Costituzionale. Quanto costano in più i tappeti, adesso? 9,15,22 o addirittura 30 mila miliardi? Nessuno sa, come se la ragioneria non fosse l'allineamento di numeri in colonna, ma un'ineffabile condizione dello spirito. Il tragico è che il mercato arabo non si esercita più, in vicoli e piazze, soltanto sulla merce pensioni - che, pure, secondo la Banca dei regolamenti internazionali porterà alla sicura estinzione del nostro Paese nel 2040, o giù di lì ma dilaga per ogni dove. Quanto costerà, ad esempio, l'assunzione di 100 mila dipendenti degli enti locali, in seguito allo sblocco deciso dal governo? Zero lire, come sostiene il ministro della Funzione Pubblica, o una tombola, come sospetta il presidente della Confindustria Abete? Di certo, riesce difficile seguire il ragionamento del professor Urbani, quando garantisce sorridente che «non si spenderà una lira in più perché le assunzioni sono autorizzate soltanto nei Comuni che hanno vuoto di organico e che hanno le risorse per fare questa assunzioni». E allora? A Marrakech dicono «dare denaro, vedere caramella». E comunque il problema è che soltanto in Italia, tra i Paesi industriali, ogni lavoratore privato ha sulle spalle due lavoratori pubblici, con buona pace del profesI sor Urbani. I E il Sulcis, mercato arabo ante litteram, dove, via via, hanno fatto affari tutti, ma proprio tutti, da Mussolini a Rumor, fino a Craxi e Andreotti? Chissà se i sorrisi dispensati in piazza dal presidente del Consiglio ai minatori sardi, che giustamente difendono il loro salario, ci costeranno stavolta 400, 800 o 1200 miliardi? Il mistero del souk, peraltro, aleggia, insondabile, anche sui provvedimenti di sgravio fiscale approvati dal Consiglio dei ministri alla vigilia di elezioni europee. Il professor Tremonti, per nostra fortuna ministro delle Finanze credibile non soltanto perché telegenico, ci garantisce che la detassazione degli utili reinvestiti, il premio di assunzione e la soppressione di tasse e diritti vari non peseranno neanche in modo infinitesimale sul bilancio dello Stato. Anzi. Ma si sa, costi e prezzi nel souk sono concetti un po' evanescenti. Tanto che il professor Bruno Visentini, ex ministro delle Finanze, giura che le agevolazioni con le quali Berlusconi e Tremonti hanno esordito costeranno alquanto in tennini di perdita di gettito, visto che la teoria dell'economia che cresce e che sistema tutto non è poi così attendibile. Forse il professor Visentini - progressista e uomo passionale - non ama troppo il suo giovane successore. Ma che dire allora del professor Andrea Monorchio, ragioniere generale dello Stato e quasi-membro della squadra forzaitalista come mancato segretario generale di Palazzo Chigi, il quale - a quanto sembra - ha fatto rilevare che i provvedimenti di Tremonti non rispettano il decreto 362 del 1988 circa la copertura finanziaria delle leggi? lire zero, dunque, come garantisce Tremonti, o lire 9 mila miliardi a carico del bilancio, come sospetta qualche pericoloso mestatore, che evoca spettri peronisti, sentendo parlare continuamente di quell'entità indefinita di ogni populismo che è la «gente»? La verità è che tutto costa e svanisce il mito del costo-zero, soprattutto se quel che si persegue è obbiettivo costoso come il consenso. La Borsa, scettica, langue e si consuma, nonostante sia stata vellicata per prima. Arriva la cedolare secca, tassazione invocata per decenni, e Piazza Affari che fa? Non reagisce con l'attesa euforia, ma, al contrario, con tragici, sconsolati ribassi. «Un classico dell'inesperienza è l'illusione che i numeri si pieghino alla volontà politica», ha detto a Bruno Manfellotto Giuliano Ferrara, forse il meno sprovveduto tra i ministri del nuovo governo. Si riferiva, per il suo ruolo, ai voti necessari per eleggare le presidenze delle Commissioni senatoriali; ma il discorso vale anche per i dati di bilancio. I numeri - ha ragione Ferrara non sì piegano, tanto che - se continua così - ne vedremo delle belle: per esempio, vedremo un governo «liberale e liberista», il primo, impalmato un mese fa per la conclamata avversione al fisco ingiusto e rapace, sostenitore indefettibile di inevitabili «manovre» lacrime e sangue. Alternativa: non Marrakech, ma il Sud America. Alberto Staterà eraj

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