Bianco Natale all'Università
Berlin diventa un classico Berlin diventa un classico Bianco Natale all'Università »A ragazzo conoscevo tante canzoni di Irving Berlin, ma non sapevo nulla dell'autore. Crede 1 vo che le canzoni fossero che so? - una specie di produzione popolare spontanea. Erano lì, e basta». Così diceva di recente il coreografo Jerome Robbins ad una «maratona» organizzata in un vecchio cinema di New York, ribattezzato «Symphony Space», per ricordare Irving Berlin, morto nel 1989 all'età di 101 anni. Ed aveva ragione Robbins. In Europa tutti conoscono brani come Bianco Natale e Alexander'* Ragtime Band e - i cinefili le canzoni che Fred Astaire cantava all'imbambolata Ginger Rogers (Cheek to Cheek, Let's Face the Music and Dance), ma il nome di Berlin è familiare solo agli specialisti. Forse anche perché l'uomo era notoriamente schivo, negli ultimissimi anni era diventato praticamente un eremita e comunicava con gli amici quasi esclusivamente per telefono (fino alla fine, astuto uomo di affari, seguiva le sorti dei suoi lavori e controllava minuziosamente i rendiconti). In quel periodo qualche volta si lamentava del mondo musicale dove, sembrava, non c'era più bisogno di lui. Poteva sembrare vero ma non era così e, anche se ha avuto un periodo di minore popolarità, la celebrazione di New York ha fornito ampie prove che oggi Irving Berlin rimane la voce, il poeta dell'America. La sua poi è una classica storia americana: nato nella Russia degli zar, dei cosacchi e dei sanguinosi pogrom, Berlin - allora si chiamava Israel Balini - viene a New York con i genitori e i molti fratelli. Vivono nel famigerato Lower East Side (come, un po' più tardi, la famiglia Gershwin) nella più schiacciante povertà. A quattordici anni il giovane Irving era scappato di casa per guadagnarsi una precaria vita cantando. Poi - prestissimo - arrivò il successo (proprio con Alexander's Ragtime Band divenne una celebrità). Presto Berlin fece parte dell'aristocrazia di Broadway, nel suo periodo più folgorante, fece costruire il proprio teatro, The MusicBox (tuttora in piedi malgrado la deleteria speculazione nella zona, che ha fatto strage di dozzine di teatri storici), scena dell'annuale Music Box Revue, fucina delle sue canzoni più quotate. Poi Hollywood, i grandi musical (On the Avenue, Top Hat, Anna prendi ilfucile), la casa nell'elegante Beekman Place. Dalla maratona a lui dedicata, è emerso non solo un ritratto più dettagliato, più ricco del compositore, ma anche una specie di storia della canzone e del suo contesto sociale in questo secolo, specialmente a New York. La città dell'Irving Berlin esordiente era, più che mai, una città di immigrati. Quasi tre quarti della popolazione era nata in Europa o in Oriente; per loro l'inglese era una lingua acquistata (il piccolo Israel, all'arrivo, parlava solo yiddish). A New York prosperava un teatro dialettale - tedesco, italiano, yiddish - con un umorismo etnico che oggi forse farebbe scandalo per la sua scorrettezza politica. Le prime canzoni di Berlin, riflettendo questa situazione, spesso sono aneddotiche come, prima in assoluto, Marie from sunny Italy e Cohen oives me ninety-seven dollars del 1915. Per generazioni il successo di Berlin era dato per scontato: nessuno lo indagava. Adesso i musicologi, i filologi, gli storici sociali sono al lavoro. Charles Hamm, professore e autore di un'affascinante storia della canzone americana, fa notare i cambiamenti di gusto che influirono sui versi di Berlin, talvolta facendo sopprimere degli scherzi troppo audaci per il teatro, e specialmente per il cinema, degli anni puritani dei presidenti Coolidge e Hoover. Altri osservatori sottolineano la destrezza linguistica del Berlin versificatore, la cui scaltrezza e originalità nella scelta di vocaboli e di rime anticipavano e rivaleggiavano quelle di un Ira Gershwin o un Moss Hart. Il giovane studioso Robert Kimball, curatore dell'imminente edizione critica delle canzoni, ha rivelato che l'apparente, accattivante spontaneità dei testi era invece spesso frutto di lunghi dibattiti interiori, di prove e riprove, una ricerca accanita della parola giusta documentabile adesso grazie agli archivi di Berlin che la famiglia ha donato alla Biblioteca del Congresso a Washington. Naturalmente i commenti e i ricordi personali (compresa una deliziosa conversazione tra le tre figlie e alcuni nipoti) dovevano fungere da piccole divagazioni della maratona che si è svolta a New York al «Symphony Space»: il tema, la colonna portante della manifestazione, che è durata ben dodici ore, è stata , trionfale, la musica. William Weaver
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