Confessioni di un picchiatore di Aldo Baquis
Confessioni di un picchiatore Confessioni di un picchiatore Choc per un film in tv sullo Shin Bet LE TORTURE Al PALESTINESI TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO «Quando l'agente dello Shin Bet (il servizio di sicurezza interno israeliano) mi faceva un segno con la testa o con gli occhi, io intervenivo e colpivo l'interrogato con pugni e calci. Nel corso di una giornata, assistevo in media a 10-15 interrogatori del genere. Di limitazioni ne avevo una sola: non provocare la morte del detenuto. Succedeva che chi mi capitava fra le mani ne usciva con gli arti spezzati, sbriciolati. Sulle ferite, veniva a volte versato un acido, oppure aceto...». Sono alcuni passi della confessione-choc di un militare israeliano apparso martedì notte alla televisione di Stato, col volto mascherato e la voce elettronicamente alterata. In un documentario di un'ora, il regista Ram Levy ha sconvolto molte coscienze in Israele descrivendo nei minimi dettagli i sistemi d'inchiesta usati dallo Shin Bet nei Territori. Sistemi che, secondo lo «Human Rights Watch» (un'organizzazione umanitaria americana) sono tuttora usati nei confronti dei detenuti palestinesi, nonostante il riconoscimento reciproco fra Israele e Olp. «Non posso credere che i nostri ragazzi facciano cose del genere», ha detto alla radio militare un ascoltatore scosso dalle testimonianze di una decina di palestinesi intervistati da Levy. «La censura avrebbe dovuto vietare il programma - ha aggiunto un altro - perché i metodi d'indagine sono un segreto di Stato e rivelarli potrebbe giovare al nemico». «Comunque si comportino ha incalzato un terzo - dobbiamo ricordare che verso gli agenti dello Shin Bet abbiamo un debito di gratitudine, perché sono loro a prevenire gli attentati. Senza questi agenti, la nostra vita sarebbe un inferno». L'atto d'accusa documentato in due anni di lavoro da Levy è molto preciso. Non esiste - è la sua tesi - una «tortura casuale». Esiste invece una macchina «ben oleata» fatta per «spremere con¬ fessioni» e usata su masse di individui, secondo una pratica standardizzata. Queste le cifre fornite dal regista: in sei anni di Intifada, 110 mila palestinesi sono stati arrestati, 80 mila sottoposti a processo e il 97 per cento di questi ultimi condannati dopo che quasi tutti avevano fatta ampia confessione. «Non riesco a credere che tutte le persone che rientrano in quel 97 per cento fossero colpevoli», ha detto Levy in una recente intervista. Il viceministro degli esteri Yossi Beilin non è voluto entrare nei dettagli della polemica ma parlando in termini generali - ha riconosciuto che l'occupazione israeliana nei Territori «non è stata benevola». «Sono sicuro ha aggiunto - che durante la nostra occupazione sono state compiute azioni deplorevoli. L'unico modo per porvi fine sarebbe l'eventuale ritiro di Israele dalla maggior parte dei Territori», nel contesto di una soluzione di pace permanente. Il portavoce militare, da parte sua, ha escluso invece che fra le «azioni deplorevoli» compiute da Israele rientri un uso sistematico di torture e sevizie che - ha ricordato - «sono vietate per legge». Il portavoce ha aggiunto che durante i sei anni di Intifada tutte le denunce dei detenuti palestinesi sono state oggetto di approfondita indagine, e che in 94 casi i responsabili di azioni illecite sono stati puniti. Le «tecniche di pressione» descritto nel film di Levy sono quelle già denunciate negli anni scorsi dai rapporti di Amnesty international e dell'organizzazione israeliana Betzelem: chiusure prolungate in ambienti malsani, diniego di riposi, ripetute percosse in punti «sensibili»; e secondo Human Rights Watch sono di una gravità tale da richiedere una reazione ufficiale da parte del governo statunitense, come la sospensione degli aiuti economici e militari allo Stato ebraico. Aldo Baquis
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