Di Pietro: potrei dimettermi di Ettore Bernabei
É Il giudice in Belgio: il Parlamento non cambi princìpi che tutti ci invidiano Di Pietro; potrei dimettermi «Se toccheranno l'indipendenza delpm» BRUXELLES DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Anche una trasferta a Bruxelles può essere l'occasione por esternare, e pur se malato Antonio Di Pietro non se la fa scappare. Il «colpo di spugna»? Il procuratore più famoso d'Europa all'inizio ci va cauto: «Io sono un magistrato, gli altri facciano le regole e io le rispetterò». Ma poi lascia cadere come se nulla fosse: «Se però le leggi non mi vanno più bene, non farò più questo mestiere». Al convegno internazionale sul riciclaggio di denaro «sporco», ospitato dal Museo di arte antica, il pubblico tutto composto da «tecnici», è quello delle grandi occasioni. Giudici, procuratori, alti ufficiali della polizia e persino un ministro. «Tonino» viene presentato quasi come un eroe: «Un uomo coraggioso che ha contribuito a cambiare la società italiana», e giù applausi. Ma Di Pietro è sempre lo stesso. Un po' anche per la febbre, che gli ha impedito di preparare «il discorso», ha sempre l'aria dell'ultimo arrivato, malgrado l'elegante completo grigio scuro. E così, parlando a braccio, alza subito i paletti ai fini delle polemiche italiane, dando allo stesso tempo una piccola lezione ai suoi ospiti, in un Paese come il Belgio, dove i procuratori sono nominati, e dipendenti, del Re, «reali» di nome e «leali» di fatto. «Ci sono alcuni principi dell'ordinamento giuridi- co italiano, che tutto il mondo dovrebbe invidiarci. Il primo è l'obbligatorietà dell'azione penale, e l'altro è l'indipendenza del pubblico ministero, che non è legato all'esecutivo, ma solo alla legge». Parla per mezz'ora, Di Pietro, districandosi senza problemi nella giungla dei tecnicismi giuridici, spiegando come, grazie a quali metodi, il pool di Milano sia riuscito a superare ostacoli e cavilli, ottenendo con ardue rogatorie intemazionali di poter mettere il naso nei sancta sanctorum delle banche di mezza Europa, di scavare nei conti dei tangentari di casa nostra. «Volevo solo dirvi conclude - che volendo si può fare, e quindi tutti dobbiamo volere di più». L'applauso è scontato: «Come vive la sua popolarità?», gli domanda un giornalista belga. «Ognuno di noi non vede l'ora di tornare all'oscuro della propria stanza. Questa sovraesposizione ci pone dei problemi». Ma a dire la verità non fa nulla per evitarla, e a chi gli domanda dell'utilità dei pentiti per la lotta alle organizzazioni mafiose risponde' «Solo chi è all'interno di queste organizzazioni sa come vi si svolgono le cose, quindi anche se a volte può essere ripugnante usarli, i pentiti sono l'unica arma possibile». Invece sull'omicidio dell'ex ministro belga André Cools, che la procura di Liegi lega alle tangenti per la vendita di eli¬ cotteri Agusta, Di Pietro non dice nulla: «Ho avuto contatti ma non voglio entrare nel merito. Sull'Agusta non ho niente da dire». Altra domanda: Craxi lo aspetta in Italia, o andrà lei a Tunisi? «Non credo sia mio diritto rispondere a questo tipo di domande. E non so se ci sono regole di collaborazione con la Tunisia: dico solo che sono necessarie delle regole di collaborazione a livello intemazionale, in altri termini una legislazione unica». E mentre sta per andarsene un giornalista belga gli fa: «Dicono che lei è un condannato a morte». E lui, serafico: «Speriamo che chi lo dice si sbagli». Fabio Squillante É A sinistra Antonio Di Pietro Qui accanto Ettore Bernabei
Persone citate: André, Antonio Di, Antonio Di Pietro, Cools, Craxi, Di Pietro, Fabio Squillante
Luoghi citati: Belgio, Bruxelles, Europa, Italia, Milano, Tunisi, Tunisia
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