Le catastrofi evitabili di Mario Tozzi

VERTICE IN GIAPPONE VERTICE IN GIAPPONE Le catastrofi evitabili Natura cattiva o uomo stupido? I è tenuto di recente in Giappone un convegno in^Jf ternazionale che ha portato ?.lla ribalta i cosiddetti «disastri naturali», di fronte ai quali la maggior parte dell'umanità risulta ancora seriamente impreparata. Il dibattito, prima ancora che politico o amministrativo, è puramente scientifico: che senso hanno locuzioni come «calamità naturale», «rischio ambientale» e «sviluppo sostenibile», se vengono utilizzate senza una specifica cultura alle spalle? E' vero che lo stati di salute ambientale del pianeta Terra è grave e non mostra segni di miglioramento? E qual è lo stato dell'arte delle conoscenze ambientali nella nostra disastrata penisola? L'itaba degli anni 90 è ancora il Paese dove sembra impossibile prevedere gli effetti catastrofici - in realtà prevedibilissimi - degli eventi naturali, il Paese in cui l'avanzata incontrastata del cemento e dell'asfalto, l'insensata costruzione di opere lungo il corso dei fiumi, l'insediamento urbano in aree di grande pericolo compromettono e rendono instabile il territorio. L'«instabilità» naturale è un fattore indipendente dalla nostra volontà, ma sulle altre variabih - quelle introdotte dall'uomo - si può ancora intervenire, in modo da risanare l'aspetto conoscitivo, attraverso un rapporto esperto/popolazione da cui scaturisca un'informazione meno carente. Dalla recente indagine di Armando Mauro «.Calamità naturali, mutazioni ambientali, sviluppo sostenibile» (Liguori, 1993) emerge in tutta chiarezza che non si dovrebbe pensare agli eventi naturali come calamità: semmai sono calamitose le conseguenze di un certo fenomeno - di per sé «naturale» a causa dell'inesperienza, della malafede o della ricerca di profitto dell'uomo. Il rischio in questi casi deriva dalla probabilità che in una certa zona si verifichi un evento (eruzione o terremoto che sia) e la valutazione delle sue eventuali capacità distruttive, in relazione alle caratteristiche geologiche e, soprattutto, alla densità e al tipo di urbanizzazione (distribuzione della popolazione, solidità delle infrastrutture). Questa relazione causa-effetto oggi non è più patrimonio comune della collettività e risulta scontata solo agli occhi degli esperti. Quante volte infatti si pensa al fenomeno naturale in Un'adeguata cultura scientifica può limi termini di ineluttabilità? Quante volte è il territorio stesso a essere considerato «negativo»? Non esiste un ambiente inadeguato - come già affermava Giustino Fortunato a proposito del dissesto dell'Italia meridionale -, c'è una scarsa cultura scientifica che impedisce una presa di coscienza razionale. La gestione corretta delle emergenze ambientali dovrebbe essere un'esigenza insopprimibile nell'Italia di oggi: l'evacuazione di Pozzuoli nel 1984 o la deviazione della colata del 1983 all'Etna sono fra i pochi esempi dall'esito positivo. Ma è altrettanto vero che la sola protezione civile non basta più: nei Paesi moderni la spesa deve essere piuttosto fatta in termini di prevenzione ambientale (che permette un risparmio di circa l'ottanta per cento). Forse un certo numero di osservatori regionali che svolgano funzioni di controllo potrebbe consentire quel salto di qualità che ancora sembra lontano. Il progresso delle conoscenze scientifiche in questo campo è stato rilevante: il rischio legato alle eruzioni vulcaniche esplosive - come quelle del Vesuvio e dei Campi Flegrei - e ai grandi terremoti dell'Appennino è oggi ben noto. Sappiamo quali sono le regioni più vulnerabili e che tipo di danno ci dobbiamo tare i danni delle catastrofi naturali aspettare. Non si sa con certezza quando la terra tremerà ancora, ma siamo comunque in possesso di elementi conoscitivi sufficienti per impostare un'opera di prevenzione decente. L'intervento in caso di necessità - cioè il passo successivo - risulta comunque complicato e lascia sul tappeto questioni teoriche e pratiche. Ci sono gli elementi per costruire il cosiddetto sviluppo sostenibile nel modeDo di crescita occidentale? Siamo in grado - in caso di necessità - di evacuare aree a rischio grandi come quella napoletana in 24 ore? Un'ultima considerazione deriva dalla lettura della Carta mondiale delle aree a rischio: gli effetti disastrosi di un evento naturale hanno un rilievo relativamente basso nei Paesi a sviluppo industriale avanzato, ma un'incidenza catastrofica nei Paesi cosiddetti in via di sviluppo. Da ciò deriva che la convivenza con il rischio è meno difficile in Giappone o in California, più difficile in Italia e decisamente impossibile in India. In altri termini, chi è già povero lo diventerà sempre di più in concomitanza con le inondazioni o con eruzioni e terremoti. Mario Tozzi Università «La Sapienza», Roma

Persone citate: Armando Mauro, Giustino Fortunato, Liguori

Luoghi citati: California, Giappone, India, Italia, Pozzuoli, Roma