COSI' PICCOLO, EPPURE RE

COSI' PICCOLO, EPPURE RE COSI' PICCOLO, EPPURE RE Vittorio Emanuele III, il più enigmatico dei Savoia Una vita e una monarchia condizionate dalla statura Cé& ERA una volta V un re piccino ✓ che si chiamava Vittorio Emanuele III»: curioso inizio della biografia di un sovrano. Subito dopo si legge: «Data la sua bassa statura, Vittorio Emanuele evitava, nei limiti del possibile, di apparire in pubblico...». Questa premessa sembra quasi lasciare intendere che se il re fosse stato un palmo più alto, molte cose sarebbero forse andate diversamente, per tutti. Un sovrano, dunque, con il complesso di essere corto di gambe, per nulla marziale. Facile bersaglio della satira politica. Una delle prime caricature apparve su un giornale francese: un diplomatico si inchina a un pennacchio pensando ci sia sotto Vittorio Emanuele. Durante la prima guerra mondiale nei giornali tedeschi il re appare come un nano deforme guardato con disprezzo dal gigante prussiano (ma nell'iconografia britannica è l'intrepido San Giorgio che combatte un drago inteso come Francesco Giuseppe). Complessato, solitario, piuttosto triste. Ritenuto arido, ma si dovette cambiare opinione quando si scoprì che aveva concesso la pensione alla famiglia dell'anarchico Bresci, suicida in carcere. Cresciuto senza affetti. I genitori «si comportavano come se si vergognassero del prodotto avariato del loro sangue»: la madre, regina Margherita, gli dedicò pochissimo tempo, il padre, re Umberto I, faceva fugaci apparizioni. Un principino difficile nei rapporti umani, «ma il gelo che infondeva negli altri, lo provava egli stesso, e per tutta la vita vi rimase immerso», ha scritto Montanelli. Se ebbe un grande affetto fu per la moglie, che ricambiò: come una ben affiatata coppia borghese. Il preludio del matrimonio nel 1894 (il principe ha 25 anni) con Margherita che, nella ricerca della sposa per il figlio, restringe il mercato aristocratico ponendo il veto per una protestante, escludendo la Casa d'Orléans e quella del Belgio perché portano sfortuna e a tutti che è un matrimonio d'amore, «forse sorpresa lei stessa che fra i reali si potesse ancora amare». Nell'agosto 1896 Vittorio Emanuele va a Cettigne, capitale del Montenegro. Il principe Petrovic vive in un palazzotto dove l'unico lusso è un biliardo, non esiste sala delle udienze, si amministra la giustizia sotto un albero. Feste e banchetti durano due settimane, con il fidanzato frastornato tra i futuri suoceri e cognati chiassosi, un po' gitani. La folla grida zivio, evviva, al piccolo principe italiano. «Lui così dignitoso, formalista, severo, pignolo, freddo si trovò sbalestrato in mezzo a una folla orientale profumata d'aglio e grasso di pecora che gli gridava in viso i suoi "zivio", agitando scimitarre e cantando belluinamente», scriverà Paolo Cesarini nella biografia di Elena. Le nozze a Roma in ottobre. Nell'estate del 1900 i principi sono in crociera nel Mediterrano con lo yacht che Vittorio Emanuele ha chiamato Jela, diminutivo slavo di Elena. Non gli può arrivare la notizia che Umberto I è stato ucciso da Gaetano Bresci a Monza. Sanno della morte del re quando arrivano al Pireo e il prefetto di Reggio Calabria sale a bordo, si rivolge al principe chiamandolo maestà. Regnerà fino al 1946, un lungo periodo segnato da due guerre mondiali, dal ventennio fascista, dal passaggio dal mondo ottocentesco a quello moderno. Un sovrano ermetico, dall'atteggiamento storico conflittuale. Per comprendere il più enigmatico dei Savoia, Letizia Argenteri (insegna Storia contemporanea alla University of San Diego, California) ha coniugato l'analisa psicologica dell'uomo con un esame ben documentato della realtà politica, sociale e culturale del suo tempo. Sicché II re borghese è la biografia di un sovrano e anche la storia di mezzo secolo di vita italiana.

Luoghi citati: Belgio, California, Cettigne, Montenegro, Monza, Reggio Calabria, Roma, San Diego