L'America a 3 giorni dai Mondiali tra indifferenza e ostilità di Vittorio Zucconi

L'America a 3 giorni dai Mondiali tra indifferenza e ostilità AN L'ultimo numero di «Newsweek» con Baggio Giusto, ma allora come spiegare il successo del baseball, sport nel quale su tre ore di durata complessiva ci sono al massimo 20 minuti di gioco effettivo e dove il sogno di ogni tifoso è il no hitter, la partita della perfetta difesa, 0 a 0, senza battute valide di palla? Il calcio è uno sport arcano, pieno di regole oscure, come il fuorigioco: ma nessuno sport ha più regole e sfumature regolamentari del baseball, che richiede anni di impegno per essere capito. Il calcio non attira grandi atleti, soprattutto di colore, perché non ci sono soldi. Verissimo, eppure ancora 40 anni or sono, il football americano era uno sport prevalentemente dilettantistico e furono le Tv ad imporlo e a venderlo. Il calcio non va abbastanza in televisione, scuotono la testa gli sponsors commerciali. E' un dato di fatto. Ma in una nazione dove le grandi città hanno a disposizione circa 60 canali, e tra poco saranno 500, comprese tre reti esclusivamente sportive, non ci può non esse¬ re spazio anche per il Pallone. No, la spiegazione dell'allergia deve essere più profonda, culturale, forse sociologica, addirittura storica. Ho provato a chiederlo allora al santo protettore del calcio negli Usa, all'uomo che ha brigato e lavorato più di ogni altro per portare la Coppa in America, Henry Kissinger. «Il calcio non piace perché non può essere ridotto e spezzettato in statistiche e in fasi separate di gioco», mi ha risposto DoktorK in un'intervista sul pallone, soggetto che lo appassiona più della diplomazia. «Gli americani vogliono sport che possono essere rimuginati e segmentati in statistiche individuali. Il calcio è un continuo, come una sinfonia e non si può ridurre alle note singole: anche la Nona di Beethoven, ascoltata una nota alla volta, non avrebbe senso». Rick Jones, un ex giocatore di calcio oggi responsabile della più grande agenzia americana di promozione sportiva, parla invece di balletto: «Il calcio è visto come una sorta di balletto classico, elegante, leggiadro, ma insopportabilmente noioso. Qualcosa che, appunto come il Lago dei Cigni, una minoranza adora e la maggioranza ignora». Ma la spiegazione forse più intelligente, l'intuizione più brillante mi è venuta da un personaggio che ha vissuto in prima persona il tentativo e il fallimento di trapiantare il soccer professionale in America: Pelé. «Il calcio è, e rimane, uno sport estraneo all'America, un sport da stranieri e che definisce il tuo essere straniero. Forse perché non è stato inventato o modificato negli Usa, come il basket, il baseball, il football figlio del rugby, gli americani ne diffidano. Per essere accettati nella società americana si devono praticare sport nazionali, non sport da stranieri», ammette Pelé che negli Anni 70 tentò invano di lanciare la squadra newyorkese dei Cosmos, al fianco di grandi - ma stranieri - campioni come Beckenbauer, Neeskens e Chinaglia. Sospetto, sulla base della mia esperienza di tifoso, di allenato¬ re dilettante e di genitore, che Pelé abbia ragione. Nel rifiuto del calcio sento odore di isolazionismo, puzza di arrogante «diversità». Come la Costituzione e la Storia americane sono fondate sul rifiuto delle società di origine compiuto dagli emigranti europei e asiatici, così l'abbandono del calcio è un prezzo da pagare, un segno da dare per distinguersi dal proprio passato: un rito di iniziazione. Gli americani hanno respinto il soccer, inconsciamente, come hanno respinto la monarchia e il feudalesimo europei, il fascismo e l'identificazione di Chiesa e Stato, lo hanno abiurato come un prodotto di quella stessa cultura che li ha costretti a emigrare e a cercar fortuna oltre oceano. I bambini e le bambine lo possono giocare e ammirare, perché i fanciulli e i pazzi non sono responsabili delle loro azioni, ma non gli adulti. Respingere il calcio è dunque un altro modo per riaffermare la propria americanità, la rottura con il passato europeo o asiatico e per testimoniare il senso di arrogante «eccezionalità» che tanta parte gioca nella psicologia collettiva degli americani, quella stessa che induce a chiamare Campioni del mondo i vincitori dei campionati nazionali di basket, baseball o football. Questo spiega perché gli spalti degli stadi saranno da venerdì prossimo colmi sì, ma soprattutto di stranieri, di freschi immigrati, di gente che rimane attaccata alla propria origine e ancora non ci vuol rinunciare. Nessuna promotion, nessuno stanziamento pubblicitario, nessuno sponsor potranno lanciare davvero il calcio in America sino a quando le generazioni che lo praticano da bambine non saranno abbastanza sicure della propria identità nazionale per continuare ad amarlo da adulte. Senza rischiare l'accusa di essere «stranieri». E senza vedere, dietro il codino di Baggio o le gambe di Asprilla, l'ombra dei tiranni europei che sognano la rivincita sulla Rivoluzione Americana. Vittorio Zucconi NNO 128 NUMERO operta italiana a Sud del 16 1 13 Cairo tra i ruderi dim enticati di Bakchias L'America a 3 giorni dai Mondiali tra indifferenza e ostilità

Persone citate: Asprilla, Baggio, Baggio Giusto, Beckenbauer, Beethoven, Chinaglia, Henry Kissinger, Neeskens, Rick Jones

Luoghi citati: America, Cairo, Usa