«Alt alla caccia agli organi»

«Alt alla caccia agli organi» «Alt alla caccia agli organi» Costa: subito una legge sui trapianti TORINO. Interviene il ministro della Sanità, Raffaele Costa, sul caso di Rocco Barlabà, 16 anni, morto dopo cinque giorni di coma durante i quali i genitori hanno negato fino all'ultimo ai medici l'espianto degli organi. E mentre il ministro prepara un disegno di legge «per agevolare i trapianti», il dramma di Rocco divide le coscienze del Paese. Rocco è caduto dalla bicicletta davanti al liceo, l'ultimo giorno di scuola. Un motorino l'ha travolto quand'era già riverso sull'asfalto, ed è cominiciata la sua partita con la morte, perduta lunedì sera. Mamma e papà si aggrappavano alla speranza di un miracolo, ma dall'altra parte c'erano i medici a ricordare che ogni giorno qualcuno muore aspettando un trapianto. Dicevano che Rocco era spacciato, che dalla morte cerebrale non c'è risveglio. I genitori ripetevano che il cuore batteva. Ora sulla tragica storia di Rocco infuriano le polemiche. Nei giorni scorsi la Curia di Torino si è schierata (pur con cautela) a fianco dei medici; centinaia di persone si erano invece strette intorno alla famiglia tempestando di telegrammi l'ospedale. E ieri il vicepresidente del Comitato nazionale di Bioetica, Giovanni Berlinguer, ha usato parole dure: «E' indegno ricattare moralmente i parenti di un moribondo per spingerli ad acconsentire all'espianto. Dev'essere una scelta libera». Quando Rocco lottava per sopravvivere nel suo lettino di rianimazione all'ospedale Martini, si parlava di lui a un convegno sui trapianti. «Un caso esemplare - dicevano i medici - che dimostra l'assenza di cultura della donazione». Era presente monsignor Franco Peradotto, che ha scritto ai genitori: «Vostro figlio può continuare a vivere nella salute di un'altra persona, che vi sarà grata per sempre». Ma i famigliari hanno replicato: «Dio può tutto, anche salvarlo». Il ministro Costa esprime «rispetto per la sofferta decisione della famiglia. Ma in Italia ci sono oltre 7 mila persone in attesa I GENITORI DI DONATA LTORINO ASCIARE morire per sempre un figlio, oppure permettere che il suo cuore restituisca la vita a un altro corpo? Che cosa provano un padre o una madre, già distrutti dal dolore, di fronte a una scelta del genere? Come ci si sente a decidere al posto di un figlio che si è già arreso alla morte? Quanta forza o disperazione ci vogliono per mettere una firma sotto quel contratto che certifica l'assoluto non ritorno di chi ti è più caro al mondo? «E' una scelta su cui non puoi riflettere troppo: si rischia d'impazzire» ricorda con fatica Michela Battù, 54 anni, residente a Caresanablot, in provincia di Vercelli. Lei è la madre di Donata Del Piano, ventenne, vittima di un pauroso incidente stradale la notte dcll'8 gennaio 1993. Donata è giunta in coma all'ospedale di Vercelli. Coma dépassé, irreversibile, hanno spiegato poche ore dopo i medici. «L'illusione che si potesse ri¬ di trapianto». E promette un disegno di legge «per avviare una vasta campagna di sensibilizzazione. Occorre spiegare, anche attraverso l'aiuto della scuola, la necessità di donare organi: ferma restando la libera volontà donatrice del singolo, bisogna evitare che si apra una forma di "caccia all'organo", che comporta il rischio di favorirne il commercio clandestino». Rocco viveva a Grugliasco, 40 mila abitanti alle porte di Torino. Era tifoso della Juventus. Portava il codino come Baggio, e PARLA IL PRIMARIO ITORINO L professor Francesco Gorgerino, primario della divisione di anestesia e rianimazione dell'ospedale Martini Nuovo di Torino, parla della battaglia che sui prelievi e trapianti di organi si accende ogni volta che un caso diventa cronaca un po' più amplificata. Professor Gorgerino, quando casi simili accendono il dibattito, voi venite dipinti come predatori di organi. Le viene mai un dubbio? «Ci dipingono così, è vero, succede. Ma questa immagine dimentica la funzione per la quale stiamo in ospedale. Funzione che è salvare delle vite. Arrivano pazienti e noi siamo lì per mettere in atto tutte le misure idonee per salvare quelle esistenze fino al possibile». Se il paziente muore, il medico sente la sconfitta. Sull'altro piatto della bilancia ha la soddisfazione di gente da aiutare con quegb organi. «Mi creda, sono due momenti distinti. Si fa di tutto per salvare. la sua camera da letto è tappezzata di fotografie della squadra. Nella speranza di risvegliarlo dal coma i compagni del liceo «Marie Curie» gli facevano continuamente ascoltare gli inni bianconeri. Intorno alla famiglia è nato a Grugliasco un comitato di solidarietà: centinaia di telegrammi hanno chiesto ai medici di «non staccare la spina». Altri sono stati spediti da mezza Italia, e il dramma di Rocco è diventato un caso nazionale. Quando il cuore ha cessato di Il professor Francesco Gorgerino «Nelle nostre decisioni non c'è mai arbitrio privilegiamo la vita» Quando non si riesce c'è la sconfitta, il dramma umano. Ma queste sconfitte vengono accettate, riconosciute. E allora si cerca, se ci sono le condizioni, di trasformarle in qualcosa di utile». Salvando altri... «Quegli altri li vediamo spesso in pronto soccorso. Candidati al trapianto che muoiono nell'attesa». Scusi, professore. Ma non battere i genitori non si sono pentiti del «no» all'espianto: ((Abbiamo sperato fino all'ultimo». Da Bergamo, la «Lega nazionale contro la predazione di organi» ha spedito una lettera alla procura della Repubblica di Torino: «Temiamo che i medici lo abbiano fatto morire per prelevare gli organi». Il professor Giovanni Berlinguer del Comitato nazionale di Bioetica parla di «una guerra di egoismi, dove sia la famiglia di Rocco sia i malati in attesa di trapianto sono vittime di chi gestisce la sanità, che spesso si preoccupa solo di fare bella figura». I medici replicano alla lettera di Bergamo: ((Abbiamo fatto il possibile per salvare quel ragazzo». E da Roma fa sentire la sua voce Bruno Giardina, presidente dell'associazione anestesisti rianimatori ospedalieri: «Gli espianti del Martini sono avvenuti nel pieno rispetto della legge e dei sentimenti dei parenti. Le macchine consentono di far battere il cuore, ma la vita sta da un'altra parte. Quando il cervello muore, e l'encefalogram¬