Ferrara: Parisi deve pagare

e il ministro degli Interni accusa: avevamo segnalato il pericolo, nessuno ci ha ascoltato e il ministro degli Interni accusa: avevamo segnalato il pericolo, nessuno ci ha ascoltato Ferrara: Parisi deve pagare «Un 'evasione che non è incredibile» ROMA. L'evasione di Padova lascia l'amaro in bocca ai neoministri del governo Berlusconi. Il Guardasigilli Alfredo Biondi, a Malta per incontri bilaterali, non ci sta: «Dai primi atti d'indagine, sembrano profilarsi gravissime violazioni delle consegne impartite al personale di vigilanza». E il responsabile dei Rapporti con il Parlamento, Giuliano Ferrara, dà sfogo a tutta la sua ira prendendosela con il capo della polizia Vincenzo Parisi e con il vicedirettore delle carceri, Di Maggio. Hanno tutti un diavolo per capello, i ministri del governo Berlusconi. Un incidente che proprio non ci voleva. I progressisti, peraltro, già stanno cavalcando la protesta con un'interrogazione che richiama un «clima di complessivo indebolimento della risposta istituzionale». E Luciano Violante, da parte sua, sottolinea «prima gli scricchiolii e adesso questo cedimento». Il commento di Biondi è ancora pacato: «La fuga di Padova crea dei problemi e mi preoccupa moltissimo. I ministeri della IL DESTINO DI MANIERO PADOVA DAL NOSTRO INVIATO Ci sono uomini per cui la vita è un tunnel: ci sono sempre sotto, dovunque siano. E anche se corrono è in una direzione segnata che vanno. Senza scampo. Se è un destino, è di quelli che definiscono segnato. Nel dicembre del 1987 Felice Maniero lo scavò un tunnel, per fuggire dal carcere di Fossombrone in compagnia del brigatista Giuseppe Di Cecco. Sbucò vicino al fiume Metauro, scappò, si nascose, fu ripreso nell'agosto del 1988, a Chiasso. Riscappò, fu riacciuffato. Continua a fuggire, poi quando è evaso semina di sé tracce così vistose che non può non essere catturato di nuovo: l'ultima volta l'hanno ripreso nella piazzetta di Capri, in pieno agosto, mentre usciva da un bar e andava verso il suo yacht da due miliardi. Ed è tornato sotto. O forse non è mai uscito, mai stato libero «Felicetto» Maniero, perché anche quando è latitante è prigioniero del suo bisogno di sfidare per vivere, di avere per regola la temerarietà, di osare ogni volta di più per provare che un limite, lui, deve ancora incontrarlo. E non è certo una cella con le sbarre. Il suo avvocato, Enrico Vandelli, che di Maniero subisce le peripezie e capisce il fascino spiega con semplicità: «Quello è pds, aveva condotto le sue incompiute seppur coraggiose battaglie neocomuniste con mani e piedi spesso impacciati dalla zavorra veterocomunista. Il successore di Occhetto saprà liberarsi dalla zavorra che non ristagna solo nelle idee trascorse, nella sentimentalità continuista, ma forse soprattutto nella cosiddetta «forma-partito» che poi non è altro che l'eufemismo dietro cui si cela la ben nota struttura delle organizzazioni di matrice leninista? La forza suggestiva e condizionante del vecchio pei, nei lunghi decenni della Prima Repubblica, era riuscita addirittura a imprimere il modello burocratico leninista (comitati centrali, segreterie generali, consigli nazionali, amministrazioni costose e torbide, federazioni e sezioni locali) ai partiti affini e perfino antagonisti. Le partitocrazie, le nomenklature partitocratiche, ancne se i loro esponenti si richiamavano alla fe¬ Giustizia e dell'Interno devono lavorare insieme per prevenire evasioni simili». Ma proprio il ministro dell'Interno Roberto Maroni, da Locri in Calabria, infierisce: «Avevamo segnalato il pericolo. E' duro ammetterlo. Ma per una volta che l'intelligence del Viminale funziona, nessuno ci ascolta. Le responsabilità, comunque, saranno facilmente verificabili». E Giuliano Ferrara ci mette il carico: «Il capo della polizia non ci deve cantare l'incredibilità di una fuga». Il ministro Ferrara, insomma, non ha affatto gradito l'intervista televisiva di Parisi a Canale 5, dove quello sosteneva che «organi investigativi avevano intercettato recentemente, in due diversi sedi, segnali premonitori», e che «è impossibile pensare a tanta sprovvedutezza nel momento in cui erano state date e ripetute istruzioni particolarmente restrittive». Di qui lo sfogo: «Non possiamo più cincischiare. Dobbiamo chiedere ai responsabili della sicurezza una versione dei fatti, e se questa non sarà soddisfacente, dovrà saltare qualche uno che non può stare in cella. Appena ci arriva somatizza, s'ammala. Ha bisogno d'aria. E allora scappa». Anche durante le udienze del processo in cui rischiava oltre cinquant'anni di carcere l'aveva promesso: «Non morirò in cella». Infatti è andato via. Un giorno lo riprenderanno, perché non è uno che si rende invisibile. Quando nell'89 fuggì dal soggiorno obbligato di Portogruaro girò il mondo come un ricco turista, dai casinò della Dalmazia a quelli della Costa Azzurra, sempre con tanti amici, belle donne, grosse auto. Uno così, c'è da scommetterci, lo ritroveranno una sera d'estate in un luogo di mare, scortato da due guappi e due platinate, sulla passeggiata che conduce dal porto alla casa da gioco. Rien ne va plus. Lo porteranno a un commissariato, dove racconterà di sé e della sua vita che era un tunnel e lui non poteva che viverla così. Dirà di essere nato a Campolongo Maggiore, paesone al confine tra Padova e Venezia, nel 1954. Suo padre Ottorino non aveva granché da insegnargli: si dedicava ai furti di bestiame e alla gestione di bische clandestine. Sua madre Lucia voleva bene a entrambi e ne era corrisposta. Tra le più visibili dimostrazioni d'affetto del figlio: la villa con piscina nella quale lei vive e il nome Lucy dato al panfilo sul quale è stato sorpreso a Capri. Difficile che Felice potesse diventare un operaio o un impiegato, nonostante il diploma da perito industriale. Pareva improbabile anche che divenisse un grande boss. In gioventù si fece notare soprattutto per le gimkane nel centro del paese a bordo di una Ferrari bianca e le prime notizie di reato che si hanno su di lui riguardano lo stupro ai danni di due turiste svedesi. Poi, alla fine degli Anni Settanta il destino, de liberale o cristiana, avevano in sostanza mutuato per contagio o per rivalità il codice organizzativo del partito comunista. Morta per infarto giudiziario questa singolare partitocrazia semibolscevica, a mezza strada fra Occidente e Oriente, il solo suo autorevole e storico rappresentante è rimasto oggi il pds, accumulando così in sé il doppio freno di due passati, uno da Terza Internazionale russificata e l'altro da Prima Repubblica italiana. Finiti gli ideali comunisti, estinti l'uno dopo l'altro tutti i socialismi reali dell'Est europeo, che senso poteva avere ormai la presenza sulla scena italiana, segnata dal crollo partitocratico, di un simile ingombrante e vuoto dinosauro organizzativo? Una volta, col sistema elettorale proporzionale, poteva esserci coincidenza e armonia fra apparati di partito e bacini elettorali. Ma adesso, col nuovo sistema maggioritario, si è visto che il voto degli elettori non ha più bisogno della delega, della mediazione degli apparati, ma che anzi tende a convogliarsi in piena libertà e in maniera diretta verso strutture fluide e improvvisate come quelle di testa. Se ci dev'essere un cambiamento di stile nella seconda Repubblica, si comincia da qui». Si va alla ricerca delle responsabilità, dunque. Tiziana Maiolo, presidente della commissione Giustizia di Montecitorio, come tanti esponenti della maggioranza, è sicura che ci siano complicità. «Io - dice quel carcere lo conosco bene. E' impossibile fuggire se non c'è una talpa interna. Ma allora, se ci sono le complicità che tutti pensiamo, significa che non c'era la massima sicurezza degli addetti». La coincidenza con l'evasione non ha frenato Tiziana Maiolo, però, ieri, dal lanciare la sua campagna garantista sulle carceri. Aveva una solida fama di garantista, infatti, l'onorevole Maiolo, già dai tempi in cui scriveva sul «Manifesto» ed era eletta nelle liste di Rifondazione comunista. Oggi è con Forza Italia, ma non ha cambiato idea. Se nelle carceri c'è un drammatico sovraffollamento, sostiene, la colpa è tutta delle leggi speciali «che andrebbero abolite» e dei giudici. Venerdì E' il 18 febbraio 1975 quando sulla soglia del carcere di Casale Monferrato entra in azione un commando di 4 persone. Una donna, con una parrucca bionda, Mara Cagol, e tre uomini, costringono un agente ad aprire il portone, tagliano i fili del telefono e superano due cancelli. Agli uomini armati si unisce un detenuto che arriva correndo. E' Renato Curdo. Tiziana Maiolo e il magistrato Di Maggio quindi la commissione Giustizia avvierà un'indagine conoscitiva nei penitenziari italiani. Ma lei ha già più di un sospetto: «La magistratura tiene troppi cittadini in carcere in attesa di giudizio. Lo fanno per farli confessare. Ma questo massiccio ricorso alla custodia cautelare da parte della magistratura è in aperta violazione del codice di procedura penale». Lei vuole maggiore umanità nei penitenziari. E le carceri speciali, se fosse per lei, sarebbero già chiuse. «Capisco però che si tratta di un'opinione isolata. Diciamo allora che le considero un male necessario. Ma Pianosa e Asinara sono carceri disumane che vanno chiuse. Ricordiamoci che le riaprì il ministro Martelli per una bassa operazione di propaganda politica. Ma non servono, tant'è che oggi sono pressoché vuote». Francesco Grignetti EVASIONI STÒRICHE RENATO CURCIO RAFFAELE «ITOLO Il boss della Nuova camorra organizzata è ricoverato nell'ospedale psichiatrico di Aversa. Ma il 5 febbario del 1978 un commando fa una breccia nel muro del manicomio con una potente carica di dinamite: Cutolo, che aveva segato le sbarre della sua cella, si volatilizza e fugge su un'auto. SUSANNA RONCONI RENATO VALIANZASCA Una fuga a bordo di un'autoambulanza dal carcere di San Vittore nell'aprile dell'80 non riesce a Renato Vallanzasca. Ma il 18 luglio 1987, durante il trasferimento dal carcere di Cuneo a quello di Porto Torres, in Sardegna, scappa da un oblò del traghetto ancorato nel porto di Genova. LA STAMPA Quotidiano fondato nel 1867 DIRETTORE RESPONSABILE Ezio Mauro VICEDIRETTORI Lorenzo Mondo, Luigi La Spi un Gud Ixrner REDATTORI CAPO CENTRALI Vittorio Sabadin, Roberto Ilellatn Franco Tropea, Dario Crcslo-Dina ART DIRECTOR Angelo Rinaldi EDITRICE LA STAMPA SPA PRESIDENTE Giovanni Agnelli VICEPRESIDENTI Vittorio Caissotli di Chiusimi) Umberto Cuttica AMMINISTRATORE DELEGATO E DIRETTORE GENERALE Paolo Paloschi AMMINISTRATORI Enrico Auteri, Luca Corderò di Montczcmolo Jas Gawronski, Giovanni Giovannini Francesco Paolo Mattioli, Alberto Nicolello .STABILIMENTO TIPOGRAFICO La Stampa, via Marcnco 32, Torino STAMPA IN FACSIMILE * La Slampa, v.G. Bruno SI, Torino STT srl, v. C. l'esenti 130, Roma STS spa, Quinta Strada 35. Catania Nuova SAME spa, v. della Giustizia 11, Milano L'Unione Sarda spa, v.le Elmas, Cagliari CONCESSIONARIA PUHIILIC'ITA' l'ublikompass Spa v. Carducci 29, Milano, tel. (02) 86-170.1 c M. d'Azeglio 60, Torino, tel. (011) 65.211 (altro filiali inizio annunci economici) © 1994 Editrice La Stampa SpA Ueg. Trib. di Torino n. «13/1926 Certificato n. 2475 de) 15712/1993 La tiratura di Martedì 14 Giugno 1994 è stata di 5S9.572 copie