I Ferruzzi gettano la spugna

Economia Evitato il fallimento, il «clan» di Ravenna lascia gli incarichi ed esce di scena I Ferrimi gettano la spugna Firmata la resa ai creditori MILANO. Addio. E questa volta è un addio vero per i fratelli Ferruzzi: hanno evitato il fallimento, e non è poco, hanno evitato l'accusa (infamante oltre che pericolosa dal punto di vista penale) di bancarotta fraudolenta, ma sono fuori da tutto. Nella Serafino srl, la cassaforte, la scatola finanziaria creata per gestire quello che è stato il secondo gruppo industriale e finanziario italiano, ha evitato il crack ma è ormai ufficialmente delle banche, delle banche creditrici ovviamente. Ieri, al tribunale di Ravenna, davanti al giudice del tribunale fallimentare Francesco Mario Agnoli, l'ultimo atto. Sulla carta, ieri, 13 giugno, per i Ferruzzi avrebbe potuto essere il giorno dell'avvio della procedura fallimentare: triste destino, nel caso, per un gruppo che proprio in via 13 giugno ha la sua sede storica, il palazzo dove c'era l'ufficio di papà Serafino, il capostipite. La situazione, del resto, non lasciava altre possibilità: Umberto Tracanella, il custode giudiziario del 23% di azioni possedute da Arturo Ferruzzi, l'aveva scritto chiaro, nero su bianco, i conti della Serafino srl, gli oltre mille miliardi di debiti, i miliardi di perdite, non lasciano intravedere alternative al fallimento. A meno che tra i Ferruzzi, proprietari della Serafino, e le banche creditrici non si arrivasse a un accordo. Esito previsto, questo dell'ac- cordo, ma chissà perché all'improvviso messo in discussione. Esito immaginabile da almeno un anno a questa parte, quanto meno da quei terribili giorni del maggio '93 quando 31 mila miliardi di debiti e vere e proprie voragini nei conti delle società avevano convinto Arturo Ferruzzi e Carlo Sama, presidente e amministratore delegato di Ferfin e Montedison, a chieder aiuto a Mediobanca per salvare il salvabile. E invece... Invece, dopo aver perso il controllo di Montedison e Ferfin quasi senza batter ciglio, all'improvviso i Ferruzzi si sono irrigiditi sulla Serafino. Voleva- no qualche garanzia in più dalle banche che, per chiudere la partita dei mille e passa miliardi di debiti della Serafino, proponevano una cosa soltanto: l'uscita di scena dei fratelli, di Arturo, di Franca, di Alessandra. Punto e basta. E che delle due controllate, della Ferruzzi Serafino Italia e della Pil, ci pensasse la famiglia. Così, quando l'accordo sembrava fatto, ecco la rottura. Praticamente concomitante con la denuncia di Sama contro Mediobanca («Anziché darci una mano per uscire dalla crisi, ci ha sfilato il gruppo») che ha portato alla clamorosa svolta nell'indagine del tribunale di Ravenna sui fondi neri e sui falsi in bilancio con il coinvolgimento del vertice di Mediobanca. Niente accordo, fallimento inevitabile. E invece no, altra svolta, altra retromarcia, con epilogo un po' meno drammatico di quanto avrebbe potuto essere: fine del braccio di ferro bancheFerruzzi e accordo firmato sulla Serafino. Venerdì 10 (ultimo giorno utile) la firma dei Ferruzzi, ieri mattina quella degli istituti creditori. Tutto come volevano le banche: dieci paginette di accordo che riportano in bonis la Serafino e la consegnano tutta ai creditori. E fallimento scongiurato all'ultimo minuto: davanti a Francesco Mario Agnoli ci pensa l'avvocato Francesco Galgano a spiegare l'accordo che toglie dai guai la vecchia Serafino e fa uscire di scena - per sempre - Arturo, Franca e Alessandra. E mentre la Serafino diventa delle banche, quasi tutto alle banche andrà l'aumento di capitale Ferfin (da 1339 miliardi) rimasto ampiamente inoptato. Da oggi (fino al 22) i diritti verranno offerti in Borsa e quelli che resteranno invenduti saranno rilevati dalle banche del consorzio di garanzia, [a. z.] E in Borsa è rimasto inoptato il maxi-aumento della Ferfìn Tutti i diritti invenduti finiranno al pool di salvataggio Arturo Ferruzzi La famiglia lascia gli incarichi Carlo Sama e (al centro) Alessandra Ferruzzi La famiglia di Ravenna si è arresa alle banche

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