Formentini: «Città ingrata» di Zeni

Formentini: «Città ingrata» Formentini: «Città ingrata» Ma Patelli lo accusa: hai cambiato poco m bufera in comune MILANO UE ore nello studio del leader, tra mezzanotte e le due della domenica dello scivolone. Cosa si sono detti, in quelle due ore, l'Umberto Bossi e Marco Formentini, sindaco di una Milano dove la Lega non regna più sovrana e vincitrice? No, inutile chiederlo a Formentini, nel giorno della riflessione, cosa è successo nell'ufficio del gran capo. Chi sa tace ma lascia capire che il faccia a faccia non è stato dei più tranquilli e che l'accusa è stata a senso unico: Milano ha voltato le spalle alla Lega perchè Milano, città laboratorio del Carroccio conquistata dopo una campagna di fuoco contro i sindaci del malaffare e di Tangentopoli, Milano non ha dato quello che aveva promesso. I dati sono dati. Un anno dopo il trionfale 40% prò Formentini, la Lega è scesa a quota 12% contro il 38% conquistato a mani basse da Forza Italia e contro il 14,6% di un Pds che a Milano non ha fatto passi in avanti e ha conquistato senza volerlo un secondo posto. Inutile girarci attorno, una gran botta. (Abbiamo preso meno di quanto avevamo preso nelle amministrative del '90», sospira il consigliere Giuseppe Babbini detto Pino, professione autista (di Bossi). Che non ha dubbi nel prendersela con gli ingrati elettori: «Non possono tradire così la Lega». Ingrati, forse. Ma forse in parte giustificati in questo vero o presunto voltafaccia. Già, perchè le accuse che piovano al sindaco Formentini non sono da poco. Tre giorni prima del voto ci aveva pensato Gianni Castelli, segretario cittadino della Lega, a dire papale papale che i vigili, i «ghisa», erano tutti o quasi contro la Lega e che appioppavano apposta multe su multe ai cittadini per rendere prima del voto la Lega meno popolare. E giù grandi polemiche contro metà dei dipendenti del Comune, tutti antileghisti, con Formentini costretto a smentire pubblicamente le accuse del suo segretario cittadi- m no. Costretto a far la faccia scura e a evitare Castelli persino sul palco dell'ultimo comizio di Bossi in piazza Duomo, il venerdì prima del voto. La chiamano fronda dei «duri e puri», dell'ala leghista che meno sopporta la prudenza del borgomastro Formentini, colpevole dello scivolone milanese al 12%. Qualche spigolatura l'aveva già fatta Francesco Speroni due mesi fa, all'indomani delle elezioni politiche che avevano già visto a Milano il sorpasso di Forza Italia (28,6%) alla Lega bloccata al 16%. «Non si è dimostrato un buon amministratore», aveva tuonato allora l'oggi ministro delle Riforme istituzionali facendosi interprete di malumori e critiche. Vero? Sfugge la polemica il sindaco Formentini, leader suo malgrado dell'ala perbenista della Lega. Di fronte ai dati, alle 205 mila preferenze nazionali che scendono a 35 mila soltanto a Milano, la metà abbondante dei consensi a suo tempo rastrellati dagli ex sindaci di Tangentopoli, dai Tognoli, dai Pil- litteri, ammette: «Bisogna cambiar strategie, abbiamo pagato in termini elettorali il tentativo di controllare e contrastare il movimento di Berlusconi». Poi la promessa: d'ora in avanti, dice, «dovranno esserci meno contrasti con gli alleati sui temi astratti e più lotta su quelli concreti». Un distinguo garbato dal Bossi guerriero che definisce «zoccolo duro» il quasi 7% avuto dagli elettori e promette una corrente indipendentista? «Ma no, ma no...», sorride allargando le braccia Formentini, il bonario. Nega rotture, nega rimpasti in Comune, nega cambi di strategia a palazzo Marino, Formentini. Persino Speroni fa marcia indietro: «Formentini ha avuto il coraggio di non fare scelte demagogiche». Resta solo l'Alessandro Patelli, il segretario organizzativo, a tradire il presunto malumore del gran capo: (A Milano abbiamo pagato lo scotto di un'amministrazione che in un anno non ha dato segnali di cambiamento». Armando Zeni Un anno dopo il 40% delle comunali discesa a quota 12% Sopra, Marco Formentini A destra, Roberto Maroni

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