Occhetto addio filmato col veleno

Occhetto, addio filmato col veleno Il segretario del pds travolto dall'insuccesso elettorale dà le dimissioni attaccando i vertici Occhetto, addio filmato col veleno «Dico grazie solo a Silvio e a Bertinotti» ROMA. Ha lo sguardo leggermente perso nel vuoto, Achille Occhetto. Prima di entrare a casa, si passa automaticamente una mano sulla testa: non c'è niente da fare, i capelli vanno per conto loro. Sono le quattro meno un quarto del pomeriggio e il segretario del pds ha appena consumato l'ultimo «strappo»: si è dimesso e, rompendo la liturgia «rossa», ha spiegato le ragioni di questo gesto in una lettera che è un atto d'accusa nei confronti dei compagni di partito. Non se n'è andato facendo finta di niente, come nelle migliori tradizioni del pei. No. Ha «lasciato» a modo suo. «E' una decisione mia, che avrei preso in ogni caso, a prescindere da quello che avrebbero potuto consigliarmi gli altri. Dicono che sono io il problema? Bene, mi faccio da parte, così non ci saranno più alibi per nessuno, adesso vedano loro quello che possono fare», spiegherà più tardi. Dunque, ecco come nascono quelle due cartelle dattiloscritte piene di infelicità, amarezza, rancore e disprezzo. Quelle sei righe finali che la dicono lunga sullo stato d'animo di Occhetto: «Ringrazio - scrive il segretario - con particolare affetto il compagno Bertinotti per la correttezza politica e la sensibilità umana; ringrazio anche il presidente del Consiglio, che si è rifiutato di intervenire nelle vicende interne del pds; e ringrazio infine quanti hanno chiesto che io mi facessi da parte con l'argomento che ormai ero passato alla storia». Fiele puro, in quelle righe, in cui Occhetto contrappone il «compagno» Bertinotti e persino il Nemico Berlusconi agli «amici» di partito che non vedevano l'ora di sbarazzarsi di lui. Ed è chiaro come il sole che il segretario non si riferisce solo a Cacciari. E' l'eterno avversario interno, il bersaglio. Quel Massimo D'Alema che, impassibile come sempre, sbuccia con ostentata lentezza una mela alla buvette della Camera, proprio nell'ora in cui Occhetto decide di dettare la sua lettera d'addio. Una lettera su cui rimugina su dalla notte prima. Quando, chiuso nel suo ufficio di Botteghe oscure, si sfoga con Petruccioli, Fassino e De Angelis. Fuori sfilano cortei di auto missine: urla, lazzi, saluti romani. Il segretario ha l'occhio lucido, ma appare determinato. Accada quel che accada: ciò che non gli si può proprio chiedere è di temporeggiare per concordare una soluzione con D'Alema. La mattina dopo, il rito delle consultazioni interne. Occhetto paga solo questo pedaggio alla tradizione comunista. Davanti al portone di Botteghe oscure i giornalisti attendono l'inevitabile. In una cornice surreale, con gli operatori delle televisioni che si sfidano in lunghe partite di tressette, e i ragazzi dell'ufficio stampa che continuano a ripetere che loro non sanno niente di niente. Finalmente qualcuno inizia a uscire dalla sede del partito. Ecco Claudio Petruccioli. Ma è peggio che andar di notte: «Non c'è stata nessuna consultazione, non c'è niente da dire». E Tortorella e Angius si dileguano. Nel frattempo, sotto casa di Occhetto c'è una piccola folla di giornalisti. Alcuni uomini del servizio d'ordine della Quercia, in attesa del segretario, chiamano rinforzi. Arriva un'altra macchina della polizia, che si aggiunge a quella che staziona sempre lì davanti. Non è mai successo prima, ma questa è una giornata assai particolare. Qualche centinaio di metri più in là, al Bottegone, Occhetto sta dettando la fatidica lettera. L'ha scritta e riscritta prima di arrivare alla stesura finale. E' stato un lavoro laborioso, fin dall'intestazione. Come far capire che il leader non ha gradito l'atteggiamento di alcuni dirigenti? Indirizzando la missiva alla presidente del consiglio nazionale Giglia Tedesco e a «tutti i compagni del pds», senza nominare la segreteria o altri organismi dirigenti. Si sono fatte le tre. Occhetto è pronto. Ma ha deciso che non scenderà al piano terra di Botteghe oscure per parlare con i giornalisti. E' il suo addetto stampa, Massimo De Angelis, a portare la lettera. «Già all'indomani delle elezioni politiche scrive il segretario - è stato posto da alcune parti, a dire il vero esterne al partito, il problema delle mie dimissioni». Adesso, però, a quanto pare, la questione è divenuta tutta interna al partito, fa capire Occhetto. Il quale non nasconde di aver «personalmente sofferto» di questa situazione. Però è rimasto al suo posto, perché c'erano le europee. Ma ora, aggiunge, «pur ritenendo un grave errore politico cercare in ogni modo di indebolire l'immagine, proprio nel momento più vivo, del segretario del pds, oggi sento che il mio dovere è un altro». E' quello di non fornire «alibi»: «Voglio dunque sbarazzare il campo da pretestuose obiezioni polemiche - sottolinea Occhetto - presentando le mie dimissioni». Com'è diversa questa lettera da quella «ufficiale» che Natta inviò prima di dimettersi. Per la verità, ne aveva spedito anche un'altra, assai velenosa, che però non vide mai la luce. Ma il segretario non vuole fare la fine del suo predecessore: «Io - confida ai suoi - continuerò a far politica. E sarei anche rimasto, se ci fossero state le condizioni per gestire in prima persona il rinnovamento. Non ci sono? E allora non rimango per fare il parafulmine. Dò le mie dimissioni irrevocabili». E così Occhetto se ne va. Mentre i dirigenti della Quercia e gli esponenti degli altri partiti pronunciano frasi che sembrano epitaffi. «Umanamente mi dispiace, ma era inevitabile», commenta Fini. «Un apprezzabile atto dovuto», dice Giuliano Ferrara. «E' stato un grande segretario, però non esistono gli uomini per tutte le stagioni», osserva Bossi. «Occhetto ha avuto il merito di traghettare il pei nel pds», afferma. «Questo gesto potrebbe contribuire a far chiarezza nel pds», sottolinea Massimo Cacciari. «E' una decisione da rispettare», dichiara Luciano Violante. «No, è inopportuna», dice invece Luigi Berlinguer. Ma Occhetto la pensa diversamente. Il pomeriggio si è chiuso in casa con la moglie e ha lasciato agli altri il compito di sbrogliare la matassa in quel palazzone triste di via delle Botteghe oscure. Maria Teresa Meli Violante: decisione da rispettare Berlinguer: atto inopportuno E Cacciari: un gesto che potrebbe far chiarezza nella Quercia Achille Occhetto segretario dimissionario del pds A sinistra la moglie Aureliana Alberici

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