Come ti cavalco la tigre feroce di Osvaldo Guerrieri

Come ti cavalco la tigre feroce Avventura teatrale, ovvero la testimonianza d'una singolare azione scenica Come ti cavalco la tigre feroce Da «Il cielo in una stanza» di Marcido Marcidorjs TORINO. Al vostro cronista è accaduta una strana avventura teatrale. Per una volta (per la prima volta) è stato l'unico spettatore di un'azione scenica intitolata «Il cielo in una stanza», prologo preparatore di un «Gengis Khan» che il gruppo di Marco Isidori, Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, dovrebbe rappresentare compiutamente alla fine del '95. Non solo il sottoscritto è stato l'unico testimone dell'avvenimento, ma ha dovuto entrarvi attivamente. Intendiamoci: niente battute da pronunciare (già l'ipotesi sarebbe catastrofica), ma l'imposizione di cavalcare una tigre, la ferocissima tigre Ma, che la scenografa Daniela Dal Cin ha rivestito di scaglie setose e la cui armatura era sostenuta con invidiabile vigore da due attori invisibili. L'effetto giostra era irresistibile e si caricava di qualche piccola apprensione. Poiché nelle stanze dell'appartamento che fungeva da spazio teatrale, la tigre non solo caracollava, ma scartava, pencolava, girava vorticosamente su se stessa, si fiondava nei vani delle porte che, in quei frangenti, sembravano restringersi pericolosamente. In sostanza, su quella cavalcatura che risuscitava lontane avventurosità salgariane, il cronista inseguiva il suo spettacolo da una stanza all'altra, da una zona buia alla sciabolata di un riflettore, sulle tracce di una compagnia uniformata dalle zebrature bianconere che ricoprivano volti e corpi. Salvo due personaggi. 11 primo, che accoglieva il visitatore all'ingresso, era «Sabino, il portiere più cretino del mondo», vestito rigorosamente di bianco, reso più alto dai coturni e con un certo numero di palloncini al di sopra dei capelli. Il se¬ condo personaggio era Gengis Khan, rivestito da una femminea tunica di ciniglia color corallo, ingioiellato come un magliaro, scalzo, il volto nascosto da un ventaglio nero. Immesso in tale gioco, il cronista rischiava ripetutamente di perdere il bandolo di ciò che gli attori gli rappresentavano e gli dicevano. E forse non era grave. Forse era irrilevante perdere qualche battuta del copione in versi che, con forte segno simbolista e col tipico ritmo martellante dei Marcido, evocava una mitica purezza primigenia (o dovremmo dire ecologica, dopo avere ascoltato l'elogio della bicicletta?). Forse non era così fondamentale annotare le innumerevoli varianti dell'azione e delle situazioni. Contava, invece, la consapevolezza del gran trucco: in quelle stanze bianche, con i velari neri che scendevano a cambiare le pro- spottive, con gli specchi che creavano capricciose rifrazioni, con i grandi ventagli decorati di selvagge scene erotiche, in quelle stanze spettatori; e c.^cri erano i chierici di un unico gioco. Divertente? Sicuro. Ma anche delicato e misterioso. Se volete, potete provarlo anche voi. Su prenotazione. Avete tempo fino al 30 giugno. Osvaldo Guerrieri Uno degli interpreti

Persone citate: Daniela Dal Cin, Gengis Khan, Marcido Marcidorjs

Luoghi citati: Torino