Sfruttatori e sfruttati nel monologo di Maria
Sfruttatori e sfruttati nel monologo di Maria «Stabat Maten> di Tarantino, con la Degli Esposti Sfruttatori e sfruttati nel monologo di Maria TORINO. Non c'è nulla di sacro nello «Stabat Mater» di Antonio Tarantino che Piera Degli Esposti ha rappresentato l'altra sera al Carignano, con la regia di Cherif e le scene di Arnaldo Pomodoro, per la rassegna «Identità e differenza». Ma se manca il sacro nell'accezione liturgica, non è detto che manchi il peccato. Anzi, nel bel copione di Tarantino premiato nel '93 con il Riccione, il peccato esiste perché viene sistematicamente negato. Ciò non vuol dire che «Stabat Mater» ci racconti la vita intangibile dei puri. Tutt'altro. «Stabat Mater» porta in scena i marginali, gli sfruttatori, gli sfruttati, i velleitari; li fa vivere nel monologare sbilenco di Maria e li colora con una leggerezza zavattiniana, nella quale non esistono moralità e immoralità, ma soltanto ingenuità. Questa Maria commercia in abiti usati, ha un amante, Giovanni, contrassegnato da una latitanza cronica, ha un figlio che Giovanni non ha voluto riconoscere e che si metterà nei guai per chissà quale devianza politica. Maria abita a Torino, tra extracomunitari e scenari di ringhiera. In mezzo alla gentuccia si sente quasi una dea; ma fuori del clan, con l'assistente sociale che l'aiuta a tirar su il figlio, col prete a cui concederebbe un «giro di tette» se non fosse un santo, col commissario che ha arrestato il ragazzo, è costretta a misurare tutta la propria distanza. Ma senza complessi. E' così profondo il suo zavattinismo, che il dislivello culturale è un nonsenso. E' una forza, Maria. La sua forza sta nei sentimenti, si rivela anche in quel germe di tragedia finale che fa lievitare la sua profonda solitudine. Ma soprattutto sta nel linguaggio, nel lessico, nella sintassi sgangherata, nelle ripetizioni ossessive, che somigliano a pause della mente prima degli scatti in avanti. Sembra una lingua sottratta alle canzoni di Jannacci e ai libri di Ghizzardi; agisce come una carica derisoria di dinamite fatta brillare fra le pieghe di tutti i conformismi. In questo frullatore psicologico e verbale Piera Degli Esposti la fa da padrona. Espressionista, epica, plebea e carnale, trasforma Maria in una popolana grandiosa che sul finire, superata ogni strafottenza, sacrifica non si sa a quale dio il proprio figlio. Come una Madonna, o come una poveraccia, [o. g.] Piera Degli Esposti nello spettacolo
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