Reno dio della discordia

Da Petrarca a Loreley, dalle sorgenti svizzere alle foci, uno studioso ha ricostruito la storia del grande fiume Da Petrarca a Loreley, dalle sorgenti svizzere alle foci, uno studioso ha ricostruito la storia del grande fiume Reno, dio della discordia Così divenne simbolo della tragedia tedesca :jjrl L poeta Marziale cantò: «0 I Reno, padre delle ninfe e I dei fiumi». Ma chi potrebbe I scorgere una ninfa o una •Jnaiade, oggi, nel grande corso d'acqua? E' diventato una cloaca, adatta più alle carpe e ai molluschi che alla poesia. Addio Ondine, figlie del Reno, addio Loreley dai capelli d'oro, addio secoli di miti e di leggende. Tutto questo è documentato dal bel libro di Horst Johannes Tummers: Der Rhein. Ein europaischer Fluss und seine Geschichte (Il Reno. Un fiume europeo e la sua storia). Tummers ha percorso tutti i milletrecentoventisei chilometri del Reno, dalla sorgente alla foce. E la prima sorpresa lo attendeva alle sorgenti del fiume, in Svizzera. Forse sperava di sentir cantare le naiadi o almeno di godere quella pace solenne che si trova solo sulle rive dei ruscelli, come dice Lucrezio. Invece è accolto a cannonate, perché là c'è un poligono di tiro. Altra sorpresa non meno sgradevole per un animo sensibile come Tummers, è vedere il fiume, già all'inizio, strozzato nel suo corso naturale e costretto a passare dove vuole Sua Maestà l'Economia. Viene subito in mente la grandiosa rapsodia II Reno di Hòlderlin. Nelle prime strofe, che procedono per scorci potentissimi, il fiume viene visto come una specie di titano che, stretto in catene tra le montagne svizzere, tempesta furibondo, tra imprecazioni e lamenti al padre Etere e alla madre Terra, per rompere le pareti rocciose e balzare libero al proprio corso. A differenza del Ticino e del Rodano, che come lui nascono dal Gottardo, non ha la via facile verso il mare. Vorrebbe scorrere verso l'Asia come il Danubio, ma non può e deve invece volgersi verso Nord, perché, per volere degli Dei, è legato alla terra tedesca. Il Reno rappresenta, idealmente, anche la storia tragica del popolo tedesco. Nello stesso tempo, però, simboleggia l'eroe che, dopo le furie tra le rocce in cui era rinserrato, si placa man mano che scende in pianura e apporta benessere ai popoli. Tummers popola le sponde del Reno non solo di figure mitologiche, ma anche storiche. A Costanza, per esempio, egli richiama subito alla mente la figura del grande mistico Heinrich Seuse o Suso, alla latina. Di lui Martin Walser ha detto che «insegnò il tedesco a Dio». Nato nel 1295, fu domenicano e allievo di Meister Eckhart. Con i suoi slanci mistici volle additare la via del Cielo, ma gli uomini rimasero legati allo Spirito della Terra e, alcuni secoli dopo, costruirono proprio vicino a quel tratto del Reno, dove lui era nato e vissuto, una specie di succursale di Dachau. A Basilea, invece, l'autore rivolge il suo pensiero soprattutto a Erasmo da Rotterdam, un altro grande figlio del Reno. Fu cittadino del mondo e viaggiò attraverso mezza Europa, ma il fiume rimase sempre l'asse intorno al quale maggiormente ruotò la sua vita. Nemico giurato di ogni fanatismo, sognò un mondo pacifico all'insegna di «bonae litterae». Ma era solo un sogno: chi è venuto al mondo per illuminarlo è già molto se la fa franca. Intanto abbiamo passato, senza nominarli, due tratti del Reno particolarmente spettacolari. Il primo è l'orrido della cosiddetta Via Mala, «il più spaventoso passo roccioso di tutta la Svizzera». Si estende per sei chilometri e sprofonda a oltre ottanta metri. Sembra che già i romani, con la loro impareggiabile ingegneria, avessero costruito un passaggio su quella gola infernale. Il secondo punto che non bisogna assolutamente dimenticare sono le^ cascate di Sciaffusa. Ognuno, dinanzi a quella massa d'acqua che infuria, si frange, spumeggia e poi man mano si placa, non può fare a meno di provare un senso di stupore per le forze primigenie della natura o di pensare al finale del Crepuscolo degli Dei. Tummers - e questo è un altro pregio del suo libro - descrive il Reno anche dal punto di vista geologico, morfologico e naturalmente ecologico. I veri guai, per il fiume, incominciano a Basilea. Qui il Padre Reno, diventato ormai un eroe benefico secondo la fantasia di Hòlderlin, non riceve già la benedizione o l'accoglienza festosa di coloro a cui porta vita e benessere, ma viene inquinato, insozzato e deturpato dagli scarichi dell'industria. Il Reno entrò nella storia con i romani, che per cinque secoli lo affiancarono di città prospere e industriose. Vi importarono anche la vite, una vera grazia del cielo per la gola dei tedeschi. Sete sembra avere anche il Rhenus bicornis, scultura romana rinvenuta a Bonn nel 1911. Il fiume è simboleggiato da un uomo barbuto, con due corna sulla fronte e la bocca spalancata. E proprio nella zona del Reno in cui i romani avevano i loro centri maggiori, diciamo approssimativamente tra Mannheim e Colonia, Tummers vede la culla per l'Europa del futuro: «Qui dovrebbe prendere forma la futura Europa unita». Adorato come Dio nell'antichità e in seguito dichiarato «sacro» dai tedeschi, il Reno, a dire il vero, ha portato sempre più discordia che pace. C'è forse bisogno di ricordare le lotte sanguinose che si svolsero in suo nome, con i patrioti francesi da un lato e quelli tedeschi dall'altro? Forse nessun fiume è mai stato così conteso. Fino al tredicesimo secolo, Francia e Germania vissero l'una vicina all'altra senza seri conflitti. Ma dopo la battaglia di Bouvines del 1214, tra i due Paesi sorse una inimicizia destinata a protrarsi nei secoli. Nel medioevo il Reno veniva chiamato Pfaffengasse, via dei preti, perché erano soprattutto i chierici a comandarvi. Gli arcivescovi di Magonza, di Colonia e di Treviri spadroneggiavano ed erano anche arbitri delle elezioni imperiali. E intanto la valle del Reno si spezzettava in staterelli sempre più piccoli. Basti dire che per andare da Basilea a Rotterdam bisognava pagare sessantadue volte la dogana, esclusi i porti di Strasburgo, di Magonza e di Colonia. L'autore dedica, e giustamente, un capitolo a parte al «flagello delle zanzare». Specie alla confluenza del Meno con il Reno, questi terribili insetti sembra quasi che vogliano divorarti. Gli studiosi del fenomeno hanno calcolato che una singola persona può essere assalita da oltre ottocento zanzare nel giro di soli due minuti. Ne fece esperienza anche Goethe. Quando era studente a Strasburgo, egli soleva andare in camporella con Friederike Brion, figlia del pastore protestante di Sesenheim. Ma le zanzare, a sentir lui, non solo gli guastarono la festa, ma gli fecero anche passare la fregola. «Le orribili zanzare del Reno», come le chiamava, lo indussero perfino a fare discorsi blasfemi in presenza del pastore, al quale disse che non poteva credere «in un Dio buono e saggio», visto che aveva creato insetti così tormentosi. Lasciamo il poeta imprecare contro le zanzare e proseguiamo il viaggio con Tummers. Tra Magonza e Coblenza, esattamente al km 554,2 del suo corso, il Reno si restringe, toccando appena 112 metri di larghezza e ben 15 di profondità. Già presso gli antichi questo tratto era famoso per l'eco che si rifrange sulle pareti a picco e per i pericolosi vortici formati dalle correnti d'aria. E' qui che si trova la Loreley, una rupe alta 132 metri, ed è di qui che Clemens Maria Brentano, strizzando l'occhio alla ninfa Eco delle Metamorfosi di Ovidio, trasse il motivo per la sua celeberrima ballata che incomincia cor i versi: «Chi ha cantato questa canzone? / Un nocchiero sul Reno / E dalla rupe dei tre cavalieri / Sempre si sente risuonare / Loreley, Loreley, Loreley». Così egli personificò l'alta parete rocciosa in una Ondina che ammaliava i naviganti e li portava alla rovina. Il motivo, di grande fascino, fu poi ripreso da altri poeti, tra cui Heine, ma anche da pittori e musicisti. Tummers ci informa che esistono ben cinquanta opere liriche ispirate alla Loreley. Ma ancora più numerosi sono i Lieder. Si pensi solo a quelli composti da Franz Liszt su testi di Heine o di Felix von Lichnowsky. Di un Lied sulla Loreley Liszt ci ha lasciato nove versioni. Ma il Reno, «fiume della patria, non confine della patria»; ispirò anche i Tirtei del nazionalismo tedesco. Valga per tutti Max Schneckenburger, autore del famoso Lied Die Wacht am Rhein, La guardia sul Reno, cui Cari Wilhelm prestò l'incendiaria melodia. Erano i prodromi delle grandi guerre. Arriviamo ora a Colonia, dove nel 1333 Petrarca ammirò l'avvenenza delle ragazze tedesche che immergevano le loro bianche braccia nelle acque del Reno. La stessa cosa farà anche Enea Silvio Piccolomini, il futuro papa Pio II. Ma secoli dopo il poeta inglese Coleridge intonerà una musica affatto diversa: «A Colonia, città dei monaci e delle ossa, / Con un selciato di pietre micidiali, / La città degli straccioni, delle femmine e delle puttane, / Là io contai settantadue fetori, / Diversi, s'intende, e altre puzze ancora! / Voi ninfe nella cloaca, nel pantano e nella buca! / Il fiume, come sempre fece, / Lava e pulisce la vostra città; / Ma ditemi, in nome del cielo, / Chi laverà poi il povero Reno?». La domanda che si poneva Coleridge è più che mai attuale: chi laverà il povero Reno? Non resta che rifugiarci, anche qui, nel passato, quando tutti i viaggiatori lodavano le acque limpide e azzurrognole del grande fiume ricco di pesci. Del resto rifugiarsi nel passato è uno dei motivi del romanticismo, compreso il romanticismo del Reno, e serve a rendersi più sopportabile il presente. Anacleto Verrecchia o, dio della discordia enne simbolo della tragedia tedesca per esempio, egli richiama subito alla mente la figura del grande mistico Heinrich Seuse o Suso, alla latina. Di lui Martin Walser ha detto che «insegnò il tedesco a Dio». Nato nel 1295, fu domenicano e allievo di Meister Eckhart. Con i suoi slanci mistici volle additare la via del Cieo, ma gli uomini rimasero legati alo Spirito della Terra e, alcuni secoli dopo, costruirono proprio vicino a quel tratto del Reno, dove lui era nato e vissuto, una specie di succursale di Dachau. A Basilea, invece, l'autore rivolge l suo pensiero soprattutto a Erasmo da Rotterdam, un altro grande figlio del Reno. Fu cittadino del mondo e viaggiò attraverso mezza Europa, ma il fiume rimase sempre 'asse intorno al quale maggiormente ruotò la sua vita. Nemico giurato di ogni fanatismo, sognò un mondo pacifico all'insegna di «bonae litterae». Ma era solo un sogno: chi è venuto al mondo per illuminarlo è già molto se la fa franca. Intanto abbiamo passato, senza nominarli, due tratti del Reno particolarmente spettacolari. Il primo è l'orrido della cosiddetta Via Mala, «il più spaventoso passo roccioso di tutta la Svizzera». Si estende per sei chilometri e sprofonda a oltre ottanta metri. Sembra che già i romani, con la loro impareggiabile ingegneria, avessero costruito un passaggio su quella gola infernale. Il secondo punto che non bisogna assolutamente dimenticare sono le^ cascate di Sciaffusa. Ognuno, dinanzi a quella massa d'acqua che infuria, si frange, spumeggia e poi man mano si placa, non può fare a meno di provare un senso di stupore per le forze primigenie della natura o di pensare al finale del Crepuscolo degli Dei. Tummers - e questo è un altro pregio del suo libro - descrive il Reno anche dal punto di vista geologico, morfologico e naturalmente ecologico. I veri guai, per il fiume, incominciano a Basilea. Qui il Padre Reno, diventato ormai un eroe benefico secondo la fantasia di Hòlderlin, non riceve già la benedizione o l'accoglienza festosa di coloro a cui porta vita e benessere, ma viene inquinato, insozzato e deturpato dagli scarichi dell'industria. Il Reno entrò nella storia con i romani, che per cinque secoli lo affiancarono di città prospere e industriose. Vi importarono anche la vite, una vera grazia del cielo per la gola dei tedeschi. Sete sembra avere anche il Rhenus bicornis, scultura romana rinvenuta a Bonn nel 1911. Il fiume è simboleggiato da un uomo barbuto, con due corna sulla fronte e la bocca spalancata. E proprio nella zona del Reno in cui i romani avevano i loro centri maggiori, diciamo approssimativamente tra Mannheim e Colonia, Tummers vede la culla per l'Europa del futuro: «Qui dovrebbe prendere forma la futura Europa unita». Adorato come Dio nell'antichità e in seguito dichiarato «sacro» dai tedeschi, il Reno, a dire il vero, ha portato sempre più discordia che pace. C'è forse bisogno di ricordare le lotte sanguinose che si svolsero in suo nome, con i patrioti francesi da un lato e quelli tedeschi dall'altro? Forse nessun fiume è mai stato così conteso. Fino al tredicesimo secolo, Francia e Germania vissero l'una vicina all'altra senza seri conflitti. Ma dopo la battaglia di Bouvines del 1214, tra i due Paesi sorse una inimicizia destinata a protrarsi nei secoli. Nel medioevo il Reno veniva chiamato Pfaffengasse, via dei preti, perché erano soprattutto i chierici a comandarvi. Gli arcivescovi di Magonza, di Colonia e di Treviri spadroneggiavano ed erano anche arbitri delle elezioni imperiali. E intanto la valle del Reno si spezzettava in staterelli sempre più piccoliBasta RosantportiColoL'aun cazanzMeninsetdivohannpersoottocdue che menLatro viaggza e 554,2strindi laGià pera fsullevortiE' qurupeClemdo l'otamovo pche icantchiertre cnare Petrarca nel '300 ammirava le ragazze di Colonia che si bagnavano nel fiume