CARANDINI un «conte rosso» per De Gasperi

CARANDINI CARANDINI un «conte rosso» \per De Gasperi MILANO ^^teIAPPARE il «conte rosso», come chiamavano Nicolò Carandini, liberale di sinistra e anticomunista senza asprezze viscerali. Era stato uno dei protagonisti della Resistenza e della Liberazione romana; cercava nel dopoguerra di far saltare la morsa pci-dc, la contrapposizione che per lui immobilizzava la vita del Paese. Per la destra era un sovversivo, per l'è- ÉHMM^ strema sinistra un reazionario. «Conservatore all'inglese», secondo Missiroli. Bello e abbronzato in perenne gessato grigio, alto uno e novanta, sguardo altero e voce baritonale, la dea Minerva effigiata sull'anello alla mano sinistra, sognava una «terza forza» laica e liberatoria, di cultura europea. Lo «onora» adesso un Quaderno della Nuova Antologia con documenti inediti, uscito a cura di Luca Riccardi, allievo di De Felice. Nella prefazione Giovanni Spadolini traccia di Carandini un ritratto commosso e rigoroso. Ricorda fra l'altro, forse pensando all'oggi, la sua «assoluta avversione a ogni commistione o contaminazione fra affari e politica». «Le ombre dell'attualità gettano luce sulle sue virtù», osserva lo storico Sergio Romano, che nell'89 ha scritto la prefazione ai diari della vedova, Elena {Passata è la stagione. Passigli). Quando nel '44 Carandini va a Londra a rappresentare l'Italia, trova l'ambasciata di Grosvenor Square mezzo distrutta dalle bombe: mette mano a denari suoi e impiega muratori, falegnami, stuccatori italiani prigionieri nei campi inglesi. L'ambasciata risorge, è quella che si vede oggi. Quando è eletto alla Costituente, rinuncia: ritiene suo dovere seguire le trattative sulla firma della pace (Saragat invece, am¬ ^^teiiiìi ! I professori dichiarano basciatore a Parigi, accetta). Più tardi diviene presidente dell'Alitalia: «Ma il biglietto d'aereo dovevo pagarlo», ricorda il figlio Guido. Anche II Mondo lo finanziava di tasca sua. Non era nato ricco, Carandini. Lo diviene in seguito alle nozze nel '26 con Elena Albertini, la figlia del grande direttore del Corriere della Sera cacciato l'anno prima da Mussolini. Luigi Albertini aveva sposato una Giacosa, e i Giacosa avevano una villa a Colleretto, nel Canavese: un paesaggio folto di antichi liberali piemontesi, una villa che era un covo. La ricorda bene Alessandro Galante Garrone: «Sulle colonne del loggiato c'erano le firme di Toscanini, Verga, Croce, Pirandello, di numerosi antifascisti. C'era anche Francesco Ruffini, il professore di Diritto ecclesiastico che non giurò fedeltà al fascismo. E' il mio più grande maestro. Lo considero mio padre. Al primo anno d'Università, nella guerra al progetto di un parco divertimenti ispirato al passato degli Stati Uniti sodio che mia madre annota nel suo diario - dice la figlia, Maria Carandini Antonelli -. Lo ricordo anch'io. De Gasperi il giorno dopo era sollevato e mi chiese di fargli vedere la metropolitana: "HUntergrund" disse, alla tedesca. Mi regalò una foto con questa dedica: "Alla mia guida sotterranea negli oscuri giorni di Londra"». Carandini siede con De Gasperi alla conferenza di pace di Parigi ed è al suo fianco nell'accordo con l'Austria sull'Alto Adige. «Alla Liberazione proposi Carandini come presidente del Consiglio ricorda Leo Valiani, uno dei capi del Cln -. Perché era al di sopra della mischia, era stimato nel mondo anglosassone ed era disinteressato. Ancora non lo conoscevo di persona: era genero di Albertini, e questo mi bastava». Venne la politica romana. Carandini era insofferente dei giochetti fra partiti. «Arrivava di corsa alle riunioni con gli occhi stravolti - ricorda Marco Pannel¬ la, che lo conobbe nel '46, a 16 anni -. "Piantala con Torre in Pietra, lascia l'Alitalia, che oltre tutto non ti dà una lira", gli dicevo. Era di una paranoica moralità». «Aveva il panico per il comizio - dice ancora Pannella -. Cominciavo io: parlavo cinque minuti o un'ora e quando lo vedevo pronto gli davo il microfono. Era timidissimo, dietro il volto austero». Una stagione convulsa. Nel '47 esce dal pli: non ne approva l'ostilità per il trattato di pace, la scelta monarchica, l'alleanza con «l'orrendo Uomo Qualunque». Vi rientra nel '51, ma quattro anni dopo se ne va di nuovo («Il pli è affittato all'Assolombarda», scrive Il Mondo) ed è imo dei fondatori del partito radicale. Come i radicali della seconda metà dell'Ottocento stavano all'estrema sinistra, rappresentando la borghesia più innovatrice, così i radicali Anni 50 erano all'estrema sinistra, ma prima delle sinistre marxiste: «Criticavano l'assetto del dopoguerra, esprimevano

Luoghi citati: Alto Adige, Austria, Italia, Londra, Milano, Parigi, Stati Uniti