«Via quei quattro direttori» di Vittorio Zucconi

Il leader pr e il portavoce di An contro Repubblica, Corriere, Stampa e Messaggero. La Fnsi: non meritano risposta Il leader pr e il portavoce di An contro Repubblica, Corriere, Stampa e Messaggero. La Fnsi: non meritano risposta «Via quei quattro direttori» Pannello e Storace all'attacco dei giornali BOSSI Palmella e Storace all'attacco della grande stampa. Il leader radicale e il portavoce di Alleanza Nazionale chiedono la testa dei direttori dei più importanti giornali italiani: Repubblica, Corriere della Sera, Stampa e Messaggero. Storace, a dire il vero, fa qualcosa in più: in un'intervista a Panorama, dopo aver accusato Eugenio Scalfari, Paolo Mieli, Ezio Mauro e Giulio Anselmi di essere «i portabandiera dei progressisti», definisce il loro operato «un giornalismo con la erre moscia, un po' omosessuale». A richiesta, prova a spiegare la battuta: «Voglio dire che la loro sintonia è evidente. Si scambiano la linea, orientando se occorre anche gli editoriali dei loro amici». Pronta la replica del presidente Arcigay Franco Grillini: «Fra poco omosessuale diventerà l'insulto più in voga della seconda Repubblica». Controreplica di Storace: «Vorrà dire che mi limiterò a chiamarli piagnoni». L'esternazione storaciana sulla stampa non finisce qui: «Mieli e Mauro o non sanno a chi appartengono i loro giornali o sono irrimediabilmente faziosi e, come Scalfari, scambiano per lezioni i loro articoli di fondo». Ce n'è anche per un mostro sacro come Montanelli: «Con tutto il rispetto, il suo è un giornalismo spremuto. Un colpo di genio, però, il suo giornale l'ha avuto chiamando alla redazione romana Gabriele Paci». Un pannelliano. Altri amori giornalistici di ROMA DALLA REDAZIONE AVANZALO STATO DEI SONDAGGI mio cliente, ha ritenuto di non rivelarli...». In quanto strumenti di governo privi di garanzie, i sondaggi sono un pericolo. Non c'è solo la spregiudicatezza dei politici, che possono usarli per chiudere la bocca agli oppositori invocando un consenso preventivo. Non si può escludere che, prima o poi, le stesse agenzie demoscopiche decidano di mettersi in proprio. Per gli Archimedi Pitagorici della demoscopia sarebbe un gioco da ragazzi lavorare sui dati per influire sulla vita politica da dietro le quinte. Si dirà: il correttivo è la concorrenza. Sondaggi attendibili contro gli inatten /Mli. Ma che cosa è attendibile e che QUELLA MALEDIZIONE mori per un attimo nei panni del fuggitivo. Diciamo, intanto, che l'uomo non è certo un intellettuale. Non possiede neppure - stando alle descrizioni di chi lo conosce quella particolare sensibilità, l'esperienza di comando, che hanno consentito a «collaboranti» come Tommaso Buscetta o Francesco Marino Mannoia di destreggiarsi bene, offrendo di sé un'immagine quasi carismatica. Santino Mezzanasca è uno - per intenderci - che dopo aver raccontato la strage di Capaci riteneva di aver pagato il suo debito con la giustizia, tanto da credere di poter avanzare la richiesta di andare a cena al ristorante. Persino per la moglie si rivelò una sorpresa: la donna sapeva di aver sposato un mafioso, ma rimaneva ugualmente turbata ogni volta che le capitava di apprendere di quale ferocia fosse capace Santino. Di Matteo - come tutti i pentiti si ritrovò solo, avendo perso la protezione della mafia, l'amore della sua donna, l'affetto del padre che lo chiamò «cornuto e infame». Poi perse anche il figlioletto: se- Storace: «Mi piacerebbe un giornale con tanti piccoli Minzolini. Sì, Augusto Minzolini della Stampa, che rifiuta di lavorare in pool: ogni suo pezzo è una sorpresa. Ma leggo volentieri anche il notista del Corriere della Sera Stefano Folli, Filippo Ceccarelli della Stampa, Federico Guiglia del Giornale. E poi Arturo Diaconale e Gustavo Selva, al quale darei le redini di un giornale fuori del coro». Storace passa poi a sfogliare La Repubblica: «Nel giornale di Scalfari ha militato "faziosità insoddisfatta" Sandra Bonsanti, ma per fortuna ci sono Mauro Piccoli, Mino Fuccillo, Barbara Palombelli. Fuccillo, al di là delle sue idee, è un analista politico profondo. Quanto alla Palombelli, se posso fare una battuta, è brava anche se è la moglie di Rutelli». Qualche battuta anche sul nemico di sempre, la Rai. «Demetrio Volcic e Livio Zanetti li manderei subito in pensione. E dovrei forse apprezzare Enrico Deaglio? O Lilli Gruber che in senso anagrafico, politici». Il presidente della Federazione nazionale della Stampa, Vittorio Roidi, ha definito le parole di Storace «volgarità espresse da persone prepotenti» e quelle di Pannella «provocazioni da salotto». Ancora più duro Achille Occhetto: «Pannella è un killer del nuovo regime. Non sappiamo se lui e Storace arriveranno a chiedere roghi. Le loro parole configurano un intollerabile atto di intimidazione e di terrorismo ideologico». I repubblicani danno a Storace del «mozzaorecchie». Come capita sempre più spesso, la Lega si dissocia dall'iniziativa di due uomini della maggioranza, con il capogruppo dei deputati Gianluigi Petrini: «Siamo in disaccordo con l'intervento greve di Storace e con i giochi di potere di Pannella. Se accettiamo questa logica, i direttori di giornale dovrebbe nominarli il governo, uccidendo così la libertà di informazione. Sarebbe aberrante». PER FAVORE NON DITE «GENOCIDIO» mmistrazione americana si giustifica osservando che nel nuovo «disordine mondiale» emerso dalla Guerra Fredda, dove i conflitti etnici scoppiano e scoppieranno ai quattro angoli della Terra, l'ultima superpotenza in servizio non può correre da un continente all'altro come un «pompiere», per spegnere incendi e impedire stragi. L'est, crienza disastrosa della Somalia lo dimostra. E' comprensibile. Ma la nostra memoria non è così labile da avere già dimenticato con quanta facilità si usavano parole grosse, «aggressione», «strage», «genocidio» quando dietro tutti i conflitti locali, per piccoli che fossero, si sospettava o si voleva vedere la mano del Cremlino. Il benessere e la vita di popoli lontanissimi come i khmer, i hmong, i curdi, gli indiani Mesquite del Centro America, diventavano in quel periodo storico assolutamente cruciali per l'Occidente, disposto «a pagare ogni prezzo», come disse Kennedy, per salvarli, a sacrificare migliaia di soldati. Non c'è moralità, nella politica internazionale, ma, come spiegava Disraeli alla regina Vittoria, «solo interessi». Tutto è relativo agli interessi politici, alla posizione geografica, al momento storico e al colore della pelle delle vittime, dunque anche la pietà che pure non dovrebbe guardare passaporti e tessere di partito. I tutsi hanno il torto imperdonabile di morire senza bandiere ideologiche, senza lobbies che mobilitino l'indignazione del mondo per loro, senza dirette tv via satellite. Nei trattati di storia questa si chiama «Realpolitik». Nella vita quotidiana, noi preferiamo chiamarla cinismo. Non cambia nulla, naturalmente, ma anche le parole sono pietre. E questa dei «semplici atti di genocidio» è una pietra che questa Casa Bianca si è infilata da sola al collo. Vittorio Zucconi Da sinistra Marco Pannella, Francesco Storace e il presidente della Commissione di vigilanza Rai Marco Taradash te:

Luoghi citati: Centro America, Roma, Somalia