Quelle vite da cani braccati

Quelle vite da cani braccati Quelle vite da cani braccati La rabbia di chi collabora con i giudici UM DRAMMA VROMA ITA da pentiti. Vita da cani. Strillava in un'aula di tribunale, qualche tempo fa, l'ex mafioso Gaspare Mutolo: «In carcere avevo le mie libertà. Adesso sto peggio». Sbalorditivo. E anche difficile da capire, secondo il senso comune, questa frustrazione in chi dovrebbe averci guadagnato a saltare il fosso e scegliere la collaborazione con lo Stato. E invece no. A sentire loro, i collaboratori di giustizia, è tutto un lamento per lo stipendio che non arriva, la disattenzione delle istituzioni, la lontananza delle famiglie. E' forse è qui, in questo groviglio inestricabile di sentimenti, che c'è la spiegazione della fuga di Santo Di Matteo. Di improvvise ritrattazioni. E forse, alla lontana, della morte di Girolamo La Barbera. Una cosa è sicura. La vita del pentito non è comoda. Né fantastica: niente plastica facciale, lavoro, seconda identità. Non è una storia all'americana. No, la situazione italiana è molto più prosaica. E' una realtà di case modeste, volutamente anonime, affittate in giganteschi condomini di periferia. Di serrande ab- bassate per la paura di essere riconosciuti dai vicini. Di bollette telefoniche stratosferiche. Di mille problemi quotidiani. Tanto per fare un elenco, si ricordi che i figli del pentito non possono iscriversi a scuola, la moglie non può andare all'ambulatorio della Usi, meno che mai si può andare in una banca e aprire un conto corrente. Carmela Palazzo, pentita anticamorra sotto la protezione dei carabinieri, un bel giorno scappò da Perugia per andare a parlare con il giudice napoletano che curava la sua inchiesta e dei giornalisti amici. «Fui spedita - raccontò - a Roma, nell'agosto del 91. Una casa vuota dove non c'era nemmeno una pentola. Dopo tre giorni tentai il suicidio. Mi E anche quando scade il «contratto», è buona regola che un pentito si muova il meno possibile. Lì, poi, in quella piccole e tristi stanze, si consuma la loro nuova esistenza. Si vivono piccoli, impensabili drammi. Il 12 gennaio scorso - ma la notizia è di quelle che imbarazzano e per questo non verme troppo divulgata - la Procura di Perugia rinviò a giudizio un carabiniere quarantenne per abusi sessuali sulla penti¬ cambiarono casa e qualcuno cercò di uccidermi. Allora mi trasferirono a Perugia. Lì sono rimasta per undici mesi in una casa dove c'era solo un materasso». Vuoto, squallore, solitudine. Ecco cosa emerge da questi racconti. L'isolamento è il primo cruccio. Al pentito, per ragioni di sicurezza, è vietato entrare in contatto con il mondo. Non devono telefonare ai parenti, perché c'è il pericolo che i killer risalgano alla nuova abitazione. A fianco il pentito più famoso, Tommaso Buscetta, e a sinistra l'ex mafioso Gaspare Mutolo Quest'ultimo rivolse severe critiche alle condizioni in cui vivono i pentiti ta che avrebbe dovuto proteggere. E' il corto circuito che può scattare per via della forzata coabitazione tra protetto e protettore. Insomma, come sostiene il ministro Maroni, parte del problema è «psicologia». Non si può mai dimenticare, infatti, che il pentito resta intimamente un uomo di mafia. Che ragiona con il cervello del mafioso. E che la collaborazione con lo Stato, molto spesso, altro non è che una forma di vendetta. Che dire, quindi, del pentito Salvatore Coniglio, che nell'aprile del 1992, nonostante si trovasse già da due anni sotto scorta, ha organizzato una semi-strage a Milano ai danni della sua convivente che non ne voleva più sapere di lui? Oppure del giovanissimo Sebastiano Mazzeo, figlio di un boss catanese, che scappò agli uomini di Domenico Sica per tornare a Catania e lì farsi ammazzare? Mazzeo, a Roma, lontano dalla famiglia, conduceva una vita quasi monastica. Una sera chiese di andare in discoteca. Glielo concessero. E lui fuggì approfittando della confusione. Come in un film, si eclissò dalla finestra del bagno. Non ne poteva proprio più. E come prevedibile, andò a morire. Nel caso di Domenico Ierinò, che sfuggì anche lui agli uomini della Dia per andare a trovare la figlia ammalata, gli agenti fecero prima dei killer. Lo riacciuffarono in Calabria. Ma fu un caso fortunato. Un domani, chissà, quando la legge sui pentiti entrerà a pieno regime, la vita del collaboratore sarà diversa. Ma finora l'esperienza degli oltre settecento pentiti che collaborano con i giudici - e dei quasi quattromila parenti al seguito - è ben diversa. Altro che le ville e le comodità miliardarie decantate da Totò Riina. Troppo spesso la loro è una vita da cani braccati. Lo raccontava bene, a un cronista de «La Stampa», il pentito catanese Carmelo Giuffrida: «Quando torno a casa non mi fermo subito, ma faccio due o tre giri dell'isolato. Ormai conosco tutte le auto degli inquilini. E se ce n'è una sospetta, preferisco dormire in campagna. Fare il killer, almeno, mi è servito a questo». Francesco Grignetti LA STAMPA Quotidiano fondato nel 1867 DIRETTORE RESPONSABILE Ezio Maura VICEDIRETTORI Lorenzo Mondo, Luigi 1 -a Spina Gad Lcrner REDATTORI CAPO CENTRALI Vittorio Sabadin, Roberto Rellato Franco Tropea, Dario Creato-Dina ART DIRECTOR Angelo Rinaldi EDITRICE LA STAMPA SPA PRESIDENTE Giovanni Agnelli VICEPRESIDENTI Vittorio CuiBBOtti di Chiusano Umberto Cuti ira AMMINISTRATORE DELEGATO E DIRETTORE GENERAI .E Paolo Palosc hi AMMINISTRATORI Enrico Autori, Luca Corderò di Montezcmoln Jaa Gawronski, Giovanni Giovannini Francesco Paolo Mattioli, Alberto Nicolello STABILIMENTO TIPOGRAFICO Stampa, viu Marenco 32, Torino STAMPA IN FACSIMILE * La Stampa, v.G. Bruno 81, Torino STTsrLv.C. Pesenli 130, Roma STS spa, Quinta Strada 35, Catania Nuova SAVIE spa, v. della Giustizia 11, Milano I,Ini un e Sarda spa, v.le V. I mas Cagliari CONCESSIONARIA PUBBLICITÀ' Publikompasa Spa v. Carducci 29, Milano, tel. (02) 86470.1 c. 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