Il grande scrittore? Ha paura del bianco

Da Hesse a Hòlderlin, in mostra l'orrore della prima pagin Da Hesse a Hòlderlin, in mostra l'orrore della prima pagin Il grande scrittore? Ha paura del bianco Scelti i finalisti I cinque in corsa per lo Strega EA borghesia romana è in testa nella gara per lo Strega. La storia narrata da Giorgio Montefoschi ne La casa del padre (Bompiani), ambientata ai Parioli, è al primo posto nella cinquina del premio con 81 voti. Al secondo posto Marcello Venturoli con La stella di Giuditta (Newton Compton), 60 voti; al terzo Francesca San vitale con II figlio dell'impero (Einaudi), 54 voti; al quarto Maria Luisa Aguirre d'Amico (nipote di Pirandello) con L'altalena (Camunia), 44 voti; al quinto Grazia Livi con Vincoli segreti (La Tartaruga), 39 voti. Ieri sera nell'attico di via Fratelli Ruspoli, sede della Fondazione Bellonci, guidati da Anna Maria Rimoaldi, i 379 Amici della Domenica hanno designato la rosa finale della quarantottesima edizione. A presiedere la votazione Rosetta Loy e Maria Luisa Spaziani. Non è la prima volta che Montefoschi entra nei nomi dello Strega. Nel 1988 aveva fatto la sua performance, ma nella scalata alla vetta aveva trovato l'ostacolo di Gesualdo Bufalino. Venturoli era già entrato nella rosa dei finalisti, due anni fa, con Io, Saffo, ma non ce l'aveva fatta a salire ai Ninfeo, accontentandosi del secondo posto alle spalle di Vincenzo Consolo, vincitore con Nottetempo, casa per casa. Ora la Newton Compton, che nel 1991 era stata esclusa dallo Strega perché non aveva una collana di narrativa, l'ha spuntata. Non è stata inattesa l'affermazione di Aguirre d'Amico. A sorpresa invece la presenza della Livi. Primo escluso Filippo Tuena con II volo dell'occasione (Longanesi). E non ce l'ha fatta nemmeno Luce d'Eramo con Ultima luna (Mondadori). La «battaglia» finale si svolgerà il 7 luglio al Ninfeo di I Valle Giulia. [m.s.l BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Sul retro, il manoscritto originale del Lupo nella steppa, che Herman Hesse scrisse nell'inverno del 1923-24 e concluse poi nel '27, non è bianco. Si possono leggere queste parole, invece: «Oggi a causa di un grave male al cuore il mio caro marito e padre dei miei figli, il nostro suocero nonno fratello Martin Lange è dipartito. Lo piangono Elena e Richard Lange». E' davvero quel che sembra, una partecipazione funebre, e non ò la sola ad «accompagnare» il romanzo nelle varie fasi della sua composizione: Hesse lo faceva spesso, scriveva dove capitava o meglio si inventava opportunità bizzarre per superare la paura della pagina bianca, della «carta vuota». Servirsi di fogli già scritti lo aiutava a stendere la bozza di un capitolo o a cominciare, a trovare le parole giuste per rompere il «terribile silenzio» che precede ogni inizio. Sono nati così Siddhariha, Untemi Rad, Gertnid, Die Morgenlandfahrt, come testimonia una mostra singolare e inedita al «Museo Nazionale Schiller» di Marbach dedicata alla scrittura (Zum Schreiben, «lo scrivere», ne è appunto il titolo). Qualche volta erano annunci mortuari come quello usato per il Lupo nella steppa: una scelta che ha risolto molti problemi e dubbi critici, perché ha reso possibile datare senza incertezze l'opera nei suoi momenti principali. Qualche volta erano lettere dell'editore o conti della spesa, e una volta perfino un acquarello autografo. Oppure i fogli di un vecchio calendario: come quello - la pagina è di maggio, l'anno il 1925 - contornato da una poe- siola regionale e dall'aneddoto del mese. Ma potevano anche essere bozze di stampa, corrispondenza personale, lettere di ammiratori, reclame. O semplicemente foglietti di appunti, che la mostra raccoglie a decine. Tutto purché «già scritto da qualcun altro prima» - era meglio del «baratro bianco» nel quale c'era il rischio di sprofondare e perdersi. Nella sua precarietà il foglio usato - soprattutto se per scopi «normali» e quotidiani, lontani comunque dall'invenzione letteraria - metteva al sicuro lo scrittore, lo sgravava di un'ansia e di un tormento che minacciava di renderlo «impotente» e «muto». E' stato così per altri grandi. Per Goethe o Schiller, Hòlderlin o Novalis, nessun bordo di pagina, nessuno «spazio già scritto» era tanto piccolo da non venire utilizzato per una chiosa, per una nota o un dubbio, ma anche per colmare il vuoto e «avviare la parola». Hòlderlin per esempio amava scrivere sullo stesso foglio (usato) l'inizio di molte poesie, prima di passare al foglio bianco sul quale ricopiarle, a una a una. E Goethe ha iniziato la bozza deW'Elegia a Marienbad - uno dei pezzi più preziosi della mostra di Marbach - sulla pagina di maggio di un almanacco tascabile. L'anno è il 1822, il calendario è il Weimarischer Schreib-Kalender dell'editore Grosherz, i fogli sono divisi in due. Goethe ha scritto la sua Elegia nella metà bianca, di faccia agli appunti presi per le giornate di quel maggio. Un artificio per «imbrigliare la pressione dell'inizio» e per «imbrogliare se stesso», come sottolinea il curatore della mostra, Friedrich Pfaeffling. Per aggirare il timore del Solo fogli «sporchi» per poter cominciare: anche conti e necrologi predarsi: si direcreata superavirsenemento me putenza. doppi due l'b foglio vuoto, per misurarsi quella che un altro autore presente a Marbach, Jean Paulhan, chiamava «il luogo dell'esercizio e della lotta»: la prima pagina di un romanzo, la prima scena di una commedia, le prime parole di una poesia. Anche Novalis aveva bisogno di «attentissimi appoggi»: molte pagine manoscritte del suo Heinrich von Ofterdingen hanno annotazioni a margine con le quali l'autore «disegna la strada del racconto»: anche se sviluppando il tema si sposta poi da questa indicazioni, Novalis conserva sempre il metodo della «nota anticipatrice». Come se avesse paura di perdere il filo affidandosi soltanto al foglio bianco, e dovesse vedere in anticipo, fin all'inizio, dove il cammino della scrittura lo avrebbe via via condotto. Ma è soprattutto in Schiller che «la tecnica del foglio usato» - e sovente maltrattato dall'autore - è strumento creativo e artificio ricercato. E' soprattutto in lui che darsi: lui stesso si direbbe - l'ha creata per poterla superare, per servirsene al momento buono come punto di partenza. Nei fogli doppi o divisi in due l'autore abbozza, spiega e riassume il dramma in modo astratto: «Padre uccide figlio o figlia, fratello ama e uccide la sorella, padre lo uccide, padre ama la sposa del figlio, fratello uccide lo sposo promesso della sorella, figlio tradisce o uccide il padre». Soltanto nella quarta bozza scritta su due fogli doppi, questa volta - la tragedia famigliare si risolve e l'opera assume la fisionomia definitiva: alla fine la via è netta, ma perché si chiarisse c'è voluto l'«inganno del foglio già scritto e usato», della pagina riempita e tormentata, dell'inizio «falsificato» come fosse altrui. m«Pglia, fraterella, padla sposa dlo sposo figlio tradSoltanto scritta suvolta la la «scrittura da scartare» diventa battistrada autonomo e geniale dell'opera ancora inesistente. L'inizio del lavoro teatrale Die Braut in Trauer ha quattro versioni, che la mostra di Marbach mette a confronto: l'una connessa all'altra, però, e sempre scritte su un foglio doppio per poter sovrapporre, anche fisicamente, i personaggi e gli episodi dei vari inizi. Il protagonista, Karl Moor, è via via sposo, padre di un figlio e di una figlia insofferenti, inconsapevole tramite di un incesto fra i ragazzi, vittima dell'odio famigliare. Prima di scegliere la strada, Schiller sembra preparare la traccia falsa a cui affi¬ Emanuele Novazio PROPAGANDA ELETTORALE O Q _1 < LU UJ o o

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