FMR da Bodoni a Berlusconi

Franco Maria Ricci, 30 anni da editore FMR, da Bodoni a Berlusconi «In Italia mi odiano perché sono bravo» MILANO DAL NOSTRO INVIATO Via Montecuccoli 32. «Via Monteché? - sbadiglia il taxista dalla testa rasata, consultando lo stradario -. Urea, sta in culo alla Cina». E noi lì dobbiamo andare, semiperiferia industrialpopolare, dove una vecchia fabbrica di profumi, uno scatolone di cemento armato Anni 50, è diventata una villotta palladiana, rivestita di vetri e marmi, con frontone, colonne, scalee e aiuole di ortensie: la nuova sede di Franco Maria Ricci, l'editore di FMR, la rivista d'arte che porta il suo nome e manifesta il suo culto per tutto ciò che è «bello, elegante, esclusivo». La prossima settimana il Comune di Fermo gli dedica una mostra, per i suoi trent'anni di maestria grafica: dal Manuale di Bodoni alV Enciclopédie degli Illuministi, dai libri in seta nero e oro alla Biblioteca di Babele di Borges fino agli assegni per la Cassa di Risparmio della sua Parma, con i putti del Correggio, e ai nuovi biglietti di volo per l'Alitalia. Son tutti lì i suoi tesori, nella ex fabbrica sgusciata e trasformata in loft, galleria d'antichità e redazione computerizzata. Nello studiolo di Ricci, tavolo fratino, busti marmorei del Foggini e, ancora per terra, l'ultimo acquisto, la Maddalena di Hayez, a occhio un due miliardi di «ornamenti» unici. L'unico pezzo in serie è l'ormai celebre distintivo all'occhiello di Ricci, la sua rosa rossa in plastica, puro moplen. «Non comincerà anche lei con la vecchia storia della rosa? Eravamo a una cena fra amici con Missoni, regalò a tutti una sciaipa, confezionata con queste rose, gli altri buttarono via scatole e rose, io le raccolsi, me ne appuntai una, e me la tenni. Tutto qui. Altro che oscuro segnale, fino a citare i Rosacroce o la P2. Palle, stupidità di invidiosi». Lei per molti bibliofili e collezionisti, specie all'estero, è un benefattore. Questo ritaglio di «Newsweek» paragona i suoi libri d'arte alle Ferrari. Eppure sa di avere, specie qui in Italia, non pochi critici sospettosi: per loro è l'editore del lusso, il principe dell'ornamento, un dandy narciso e un manager spregiudicato, un «Verdiglione del packaging», gran seduttore di ricchi. «Palle. Pura ignoranza. Ma dove sono i fronzoli nei miei libri? Al contrario, una pulizia totale. Proprio lì sta l'eredità del mio unico grande maestro spirituale, Bodoni: ordine e misura, il gusto del rigore, veder le cose dritte, la tradizione neoclassica. Certo che amo la citazione, la decorazione, ma non ho nulla di rococò. Scelgo il nero perché è un non colore, fondamentale per coinvolgere la figura e dar- le dignità assoluta. L'unico ornamento è l'oro, quando la copertina è di seta. Ma cos'altro potrei metterci sul nero? Solo il bianco che infatti uso per l'edizione su carta». Le critiche sono pregiudizi? «C'è un giornalismo perverso uso a parlar sempre male di chi fa, inventa, rischia. Per questo ho deciso di abolire anche l'ufficio stampa. E' un malcostume tutto italiano: legga qui, pagine intere di Le Monde e di El pais, ho scoperto di aver persino una lunga, bellissima "voce" nella Encyclopédie Universale francese. A Parigi ho ricevuto il Prix Vasari, Mitterrand mi ha fatto chevalier des arts et des lettres. Qui da noi, in tutto e per tutto, una medaglia della mia Parma. Adesso sto per lanciare l'edizione di Fmr per l'America Latina, un grosso accordo commerciale e culturale con il Messico, collaborerà con me Televisa, il Berlusconi di là, e scriverà per me il Nobel Octavio Paz: come han fatto in passato Barthes e Cortazar, la Sontag e Starobinski, Sciascia e Calvino, e più di tutti Borges. Andai a trovarlo io in Argentina, nei primi Anni 70, era un isolato, lo consideravano un fascista. Lo ospitai in Italia. Moravia e i salotti romani gli girarono le spalle. Solo Argan e Sciascia lo salutarono». Ma lei pubblica per i collezionisti o per i lettori? «Certo i miei libri non si portano a letto o in metrò. E allora? Le biblioteche americane, razionali e pragmatiche, non me li ordinano per darli in lettura, li mettono subito nella sezione "libri rari", con i Bodoni e Baskerville. E chi vorrà conoscere l'arte grafica di questo fine secolo, li cercherà lì. Io lavoro per i posteri. Anche in Italia sarò grande fra cent'anni». Quanto guadagna? «Un fatturato annuo intorno ai 14 miliardi. Un dieci per cento di utile. Ma i guadagni li investo. Con meno quattrini, si pensa di più». Un libro, se non è caro, non vale? «Ma che vuol dire caro? Il Concorde è caro in paragone a una bicicletta. Io non sono caro, sono diverso e bravo, il più bravo, nel mio genere. Non mi confronto con la Electa, insuperabile nei cataloghi. Stimo Allemandi e poche altre eccezioni, l'amico Panini ad esempio. Ma sono altre cose, informative: la chimica nutrizionale non sostituirà mai la gastronomia. In generale l'editoria d'arte in Italia è sempre stata pressoché inesistente e davvero bruttina: riproduzioni francobollo, in bianco e nero o con colori sbagliati, distorte, a volte persino rovesciate. E le riviste? Modellate sull'espresso, sostituendo le gallerie d'arte al Palazzo della politica: puro gossip». Invece lei? «Non riuscivo a capire perché proprio l'arte, per definizione ricerca del Bello, non avesse una rivista paragonabile a quel che era Vogue per la moda o Playboy per l'erotismo. Così è nata nell'82 Fmr, 20 mila abbonati in Italia, il triplo con le edizioni in francese, inglese e spagnolo: apprendendo dalla fotografia e dal cinema il gusto dello zoom, far vedere il particolare. E portare alla luce l'inedito, l'introvabile, non i soliti Leonardo e Michelangelo. Anche per i libri, non a caso ho cominciato con Ligabue, Erte, la Tamara De Lempicka». Ama poco o nulla i contemporanei? «Preferisco evitare le connessioni con il mercato. E poi il '900 ha dato il meglio di sé fino alla seconda guerra. Sì, amo Bacon e Lucien Freud, mi ha interessato la filosofia della pop art: la Coca Cola ingrandita a Monumento, modificando la scala di un oggetto si arriva a Dio. Oggi la grande arte è nella scienza e nella tecnologia. Tutti a gridare beautiful davanti a un giochino mòbile di Calder, quando il capolavoro è la navetta spaziale Gemini. Un pittorucolo schizza quattro righe sulla tela e la chiama "labirinto", quando il vero labirinto contemporaneo è il chip del computer: l'ingegnere è il nostro artista. E noi dovremmo occuparci di Chia e Pistoletto, Palladino e Cucchi? Il fatto è che ogni anno nel mondo si aprono dai 20 ai 60 musei e debbono metterci dentro della roba. I critici certificano, autorizzano, come un qualunque ministero della Sanità fa con l'aspirina. E il gioco è fatto». A proposito di critici, lei ha la¬ sciato Zeri per Sgarbi? «Ho dovuto prender atto che Zeri lasciava me, perché non rompevo con Sgarbi, da sempre un grande, fraterno amico. Ora che è diventato un uomo di potere ho perso anche lui, il più bello, vivace, intelligente, curioso critico d'arte italiano. Solo chi non lo conosce lo ritiene un incazzato: è solo un fatto adrenalinico, una liberazione dalla paura». Sarà contento ora che lui è presidente della commissione Cultura alla Camera? «Se fosse diventato ministro sarei stato suo consigliere». Avrebbe fatto meglio di Ron- chey? «Guardi, ho qui uno sgorbio bizantino di legge sul pagamento dei diritti d'autore per le riproduzioni delle opere d'arte. Ho sprecato un giorno a fargli capire che era un errore e un orrore. Niente da fare. Un disastro. Voleva far l'americano, non sapeva nemmeno fare i conti». Allora le sta bene Fisichella? «Sono soddisfatto del cambiamento. Peggio di prima, sarà difficile». Non è vero che fosse amico di Craxi? «Mai frequentato. E mai avuto per la mia rivista soldi pubblici, quelli che finivano a tutti, à.a\\'Araldo di sant'Antonio all'Unità. Comunque, adesso vediamo quel che faranno i nuovi. Basta poco: buon senso, concretezza, far due conti». Le piace Berlusconi. «So che mi apprezza e dico che è fantastico: perché è positivo, ha inventiva. Ho qualche dubbio su qualche suo alleato e collaboratore. In questo caso non ama il nero? «No, l'unico pericolo che non temo è il fascismo. Si grida al vaiolo quando invece abbiamo la polmonite. I conti, i conti. Io passo le mie serate a far i conti allo Stato e scopro nefandezze». E allora? ((Allora, lasciamoli lavorare». D'accordo. Ma tornando in via Raimondo di Montecuccoli vien da ricordare il monito di quell'illustre generale dell'esercito austriaco contro «i ministri i quali tutta la loro gloria riponevano nel rigettare tutto quello che non era parto delle loro menti». Tra le opere d'arte, tra i beni culturali da proteggere mettiamoci pure il Dissenso. Luciano Gerita g9 Franco Maria Ricci, 30 anni da editore Octavio Paz